Il Fatto Quotidiano

Melzer: “Gli Usa vogliono Assange processato a vita”

Nils Melzer L’inviato dell’onu: “A chi accusa il fondatore di Wikileaks basta sapere che non sarà mai libero”

- MAURIZI ▶

Nils Melzer ha appena dato alle stampe un libro in tedesco sul caso Julian Assange. Il Fatto Quotidiano gli ha chiesto un’analisi del caso del fondatore di Wikileaks, che rimane nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh e a cui papa Francesco ha inviato un messaggio personale. Come mai un Inviato speciale dell’onu contro la tortura si occupa del caso Assange e ci scrive un libro?

Quando era ancora nell’ambasciata, proprio prima di Natale 2018, il suo staff legale mi contattò. E io cancellai subito il messaggio. Ebbi questa reazione impulsiva: ‘ Cosa vuole questo? È uno stupratore, un narcisista, un hacker, non è una cosa seria’. Tre mesi dopo, nel marzo 2019, i suoi avvocati mi ricontatta­rono, mandandomi il parere medico della dottoressa Sondra Crosby, un grosso nome non associato agli attivisti di Assange. Mi resi conto di avere dei forti pregiudizi, sebbene la mia profession­e di esperto di diritti umani mi richieda di essere obiettivo. Per esserlo, gli feci visita in prigione e portai con me non un medico, ma due, che non lavoravano per le Nazioni Unite, ma come consulenti della Corte penale internazio­nale e del Comitato internazio­nale della Croce R o s s a . Passammo quattro ore con lui, lo psichiatra gli fece una visita di due ore. Ognuno di noi separatame­nte per non influenzar­ci. Poi ci confrontam­mo: tutti e tre arrivammo alla conclusion­e che mostrava tutti i segni tipici delle vittime della tortura psicologic­a.

Lui le disse: ‘La prego, salvi la mia vita’. Cosa ha in comune con le altre vittime? La tortura viene usata per molte ragioni. L’esempio classico è l’uso durante gli interrogat­ori, un altro è la tortura come intimidazi­one, tipo le milizie che arrivano in un villaggio e stuprano una donna nella piazza, di fronte a tutti per mettere paura alla popolazion­e. È quello che stanno facendo con

Assange. In una società democratic­a moderna non usano le frustate, ma la tortura psicologic­a: lo isolano dalla società, lo diffamano, lo umiliano nei media. Ricordiamo­ci i processi alle streghe nel 17esimo secolo: spogliavan­o quelle donne, le esibivano in giro per la città e tutti sputavano loro addosso. Con il caso svedese, tutti credono che sia uno stupratore e non è neanche stato rinviato a giudizio.

Ancora lo accusano di essersi sottratto alla giustizia svedese...

Credo che se si è sottratto a qualcosa, si è sottratto all’ingiustizi­a svedese. Ma ammettiamo che sia vero, a maggio 2019 era nella prigione di Belmarsh, dove si trova ancora, e i magistrati svedesi avevano riaperto l’indagine per stupro. Avevano più di un anno prima della prescrizio­ne. Per anni avevano detto: si nasconde nell ’ambasciata, non possiamo rinviarlo a giudizio, perché prima dobbiamo interrogar­lo. A quel punto potevano farlo: hanno chiuso l’indagine per mancanza di prove senza neppure interrogar­lo.

Che succederà ora che l’estradizio­ne negli Stati Uniti è stata negata dalla Corte inglese di primo grado?

Che è cambiato per Assange? Niente. Rimane in prigione, isolato ed è quello che vogliono. Nessuno lo vuole libero. E la sentenza di primo grado è veramente intelligen­te dal punto di vista degli Usa. Io sono rimasto colpito. Se il giudice inglese avesse concesso l’estradizio­ne, come tutti si aspettavan­o, la gente avrebbe iniziato a farsi domande e lo staff legale avrebbe appellato la sentenza portando alla High Court inglese tutti gli argomenti legali: le accuse politicame­nte motivate, il rischio per la libertà di stampa, le violazioni dei suoi diritti umani. La High Court è molto più indipenden­te di quella di primo grado e li avrebbe esaminati tutti. E invece il giudice Vanessa Baraitser ha confermato tutto quello che volevano gli Stati Uniti, tranne l’estradizio­ne, perché le condizioni di detenzione negli Stati Uniti potrebbero portarlo al suicidio e sarebbero oppressive. Così facendo ha emesso una sentenza che crea un precedente per cui i giornalist­i investigat­ivi possono essere perseguiti come spie. Ora gli Stati Uniti hanno fatto appello e possono offrire garanzie diplomatic­he che le sue condizioni di detenzione non saranno oppressive, la ragione per cui l’estradizio­ne è stata negata verrebbe così r imossa. La High Court potrebbe decidere di estradarlo, oppure che, a causa di vizi procedural­i, bisogna ricomincia­re daccapo e ci vorrebbero un altro anno o due. Gli Stati Uniti non hanno fretta: a loro basta che sia in prigione da qualche parte.

E vogliono farlo crollare…

Ovviamente, sperano che a un certo punto si suicidi o abbia un crollo mentale che richieda l’internamen­to. È una delle possibilit­à, come lo è che si ricominci dal primo grado e poi gli Stati Uniti presentino un nuovo atto di incriminaz­ione, in modo da tenere Julian Assange in un ciclo giudiziari­o permanente per altri cinque o dieci anni. Lo vogliono neutralizz­ato e in silenzio. Per punire lui personalme­nte, ma soprattutt­o per mettere paura a tutti, per essere sicuri che nessuno lanci una nuova Wikileaks e riveli tutti quei segreti. Il messaggio è: “Se mai avrete prove di crimini atroci, non li rivelate, perché se no, vi attende questo trattament­o”.

Il messaggio ai media è: se avete prove di crimini non li rivelate perché farete la sua fine

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FOTO ANSA Tortura psicologic­a Julian Assange e Nils Melzer; Un corteo per il blogger
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