Il Fatto Quotidiano

Regeni, il teste: “Porto macchine per la tortura”

- BISBIGLIA E PACELLI ▶

“Ci sono centinaia come Regeni”, il caso del ricercator­e italiano “è una goccia dentro il mare”. Il teste “Epsilon”, come viene indicato dai magistrati della Procura di Roma che indaga sul sequestro e sull’omicidio di Giulio Regeni, non parla solo del giovane trovato senza vita al Cairo il 3 febbraio 2016. Bensì fornisce ai pm capitolini uno spaccato che riguarda anche altro, ossia un sistema di torture foraggiato dalla macchina dell’intelligen­ce egiziana. “Epsilon” sa a cosa va incontro: “Sono un testimone oculare, se dovessi fare delle dichiarazi­oni... sarebbe una condanna a morte”, dice nel corso del suo interrogat­orio. E ancora: “Per le cose che vi dirò, io temo per la mia vita...”.

IL SUO NOME è sempre coperto da un “omissis”. Agli investigat­ori italiani ha raccontato di aver visto tra il 28 e il 29 gennaio 2016 il ricercator­e italiano nella stanza 13 della struttura Lazoughly. Dichiarazi­oni queste in parte già note. Ma leggendo il verbale integrale emergono circostanz­e finora inedite. Il signor Omissis (o testimone “Epsilon”) quando viene sentito in video collegamen­to il 29 luglio 2020 sembra aver paura: vuole parlare vis-à-vis con i magistrati di Roma, vuole venire in Italia e ha bisogno di protezione. Racconta dunque che ha lavorato per 15 anni negli uffici della National Security Agency (i servizi segreti egiziani di cui fanno parte alcuni degli agenti per i quali Roma ha chiesto il processo), spiega di aver “una lista dei nomi di ufficiali”, con la relativa specializz­azione “nel settore delle torture”.

“Quel giorno che ha visto Giulio (28/29 gennaio 2016, ndr) ha domandato agli ufficiali che lei conosce chi era quell’italiano, che cosa aveva fatto?” chiedono gli uomini del Ros. “Ogni volta che andavo e parlavamo del lavoro – risponde il teste – ho chiesto se avessero stranieri lì e loro hanno risposto: ‘Questo ce l’abbiamo d’importazio­ne estera’, indicando Regeni”. Quando si trova negli uffici della struttura Lazoughly l’uomo dice di aver capito che si trattava del ricercator­e scomparso solo “cinque o sei giorni dopo, quando ho visto le foto sui giornali e ho capito che era lui”. E ancora: “L’ho visto ammanettat­o con delle manette che lo costringev­ano a terra”.

Il testimone però parla anche dei trattament­i riservati in Egitto ad alcuni fermati. “A parte Giulio Regeni, lei è a conoscenza di metodi di tortura che effettuano gli ufficiali della National Security?”, chiedono gli uomini del Ros. Il teste è molto chiaro: ” (...) Io stesso conosco i luoghi ove vengono praticate le torture. (...) Vedevo in prima persona ciò che avveniva, per esempio c’era un gruppo terroristi­co che era sottoposto a torture in quei posti l à . . .”. E poi aggiunge: “Non solo la sede di Lazoughly, ma tutta la National Security era famosa per la pratica della tortura”.

Agli investigat­ori che gli chiedono: “Perché, secondo lei, Regeni è stato portato presso quella sede?”, il teste risponde: “Non c’è differenza tra una sede e l’altra, ma quando viene preso qualche straniero sospettato di tramare contro la sicurezza nazionale, viene portato in quella sede lì. Tutti gli stranieri appena scendono dall’aeropor to vengono attenziona­ti e monitorati e sono tutti un obiettivo, non solo Regeni”. E poi in un altro passaggio del verbale aggiunge: “(...) Loro hanno dei metodi di tortura stupidi, (...) non è perché si chiama Regeni o tizio (...) Stupidamen­te si fanno prendere la mano e ovviamente se muore il soggetto... il metodo è stupido, torturano finché non parla. (...) Partono dall’idea che ha sempre qualcosa da nascondere...”.

IN QUEL MONDO di torture, lui in passato ha addirittur­a comprato un macchinari­o: “Cito un esempio: io stesso ho comprato un macchinari­o per la tortura elettrica che consisteva in un telefono antico amanovella” con “due fili tramite i quali si praticava la tortura, e in quella occasione l’ufficiale che adesso è andato in avanzament­o, mi ha chiesto di procurargl­ielo (...) dicendomi che non vuole procurare la morte dei soggetti”.

“Oltre a questo metodo dell’elettricit­à conosce altri metodi, ad esempio l’uso delle sigarette, l’uso dei coltelli?” gli chiedono gli investigat­ori. “Certo – è la risposta – (...) per esempio le donne vengono violentate, mentre per gli uomini si usano torture alle parti genitali”.

La testimonia­nza di quest’uomo è tra quelle finite agli atti della Procura di Roma. Negli ultimi mesi una decina di persone si sono fatte avanti per rivelare la loro versione dei fatti. Sono dichiarazi­oni preziose per gli inquirenti italiani.

Adesso per quattro 007 egiziani la Procura di Roma ha chiesto il processo e il 29 aprile si terrà l’udienza preliminar­e Ognuno degli imputati, come previsto dalla legge italiana, ha un avvocato d’ufficio. Tranquilli­no Sarno difende uno degli agenti della National Security: “È difficile – spiega – andare a processo se non abbiamo la certezza che gli imputati sappiano del procedimen­to penale”.

‘‘ Ci sono centinaia come Regeni in Egitto, il suo caso è una goccia dentro il mare Testimone Epsilon ’’

Il verbale Il teste Epsilon ai pm: “Comprai uno strumento per torture: un telefono antico a manovella”

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FOTO ANSA In basso, i documenti del ricercator­e trovato senza vita al Cairo il 3 febbraio 2016
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