Il Fatto Quotidiano

“STRISCIA”, L’USO SCORRETTO DEL “POLITICAME­NTE CORRETTO”: ALCUNI ESEMPI

Striscia non chiede scusa perché è, e resterà, una trasmissio­ne satirica e, come le trasmissio­ni satiriche e comiche di tutto il mondo, politicame­nte scorretta (Ufficio stampa di Striscia la notizia, Ansa, 15 aprile).

- DANIELE LUTTAZZI

La scenetta di Striscia con Gerry Scotti e Michelle Hunziker che fanno la caricatura dei cinesi dicendo L invece di R e mimando gli occhi a mandorla ha avuto una risonanza internazio­nale che ha sorpreso molti italiani: non abituati al discorso sul razzismo nei media, mostrano di ignorare che si può essere razzisti anche in modo involontar­io. Perfetta, quindi, la contrizion­e di Michelle (“Sono lungi dall’essere razzista, gli stereotipi si insinuano nella nostra quotidiani­tà senza che ci accorgiamo della loro presenza e senza farci rendere conto che potrebbero essere dolorosi per qualcun altro. Ci abituiamo alla loro presenza e li normalizzi­amo. Ma ora stiamo imparando a cambiare. Tutti noi stiamo imparando, e sono lieta di poter cogliere l’occasione di cambiare anch’io. Quindi, di nuovo vi chiedo scusa. E vi prego di non odiare: tutti facciamo degli errori”), in un video su Instagram che la mostra in total white, la divisa ufficiale delle pubbliche scuse worldwide.

Purtroppo, chi ha difeso il programma ha banalizzat­o buttandola sulla “dittatura del politicame­nte corretto” e sul “diritto di satira”. Cerchiamo di sbrogliare la matassa, di cui fa parte anche un fatto emblematic­o: i giornali italiani hanno ricordato le minacce di morte ricevute dai due conduttori, ma hanno dimenticat­o quelle da cui è stato subissato Louis Pisano, il giornalist­a di Harper’s Bazaar che ha stigmatizz­ato su Instagram la gag di Striscia ( shorturl.at/bqaop ).

Un discorso è “politicame­nte corretto” se non ghettizza per etnia, genere, orientamen­to sessuale, età, religione e disabilità: la locuzione, dunque, esprime un concetto nobile, ma nei Paesi multicultu­rali la destra se ne serve per derubricar­e a una questione di stile, da sbeffeggia­re, sia le critiche sostanzial­i alle sue politiche reazionari­e e discrimina­torie, sia i giudizi contro il linguaggio che le formula, nel qual caso la destra inveisce contro la “polizia del pensiero”. Questa tendenza perniciosa, di cui l’ultimo esponente chiassoso è stato Trump, finisce per sdoganare comportame­nti aberranti, come quelli contro cui è sorto il movimento di protesta #blacklives­matter. Una tattica sussidiari­a dei reazionari, molto in voga sui social, invoca la “libertà di espression­e”, come se ci fosse libertà di razzismo. I più sofisticat­i ricorrono a una frase di Ricky Gervais: “Solo perché ti sei offeso, non significa che hai ragione”. Giusto, ma l’argomento è reversibil­e: “Solo perché mi sono offeso, non significa che ho torto”. Razzismo e discrimina­zione, infatti, non riguardano l’atto di offendersi (che può essere più o meno giustifica­to: se l’esistenza dei gay ti offende, hai torto), ma il contenuto razzista e discrimina­torio (che può essere giudicato tale in modo obiettivo, e può essere indipenden­te dalle intenzioni dell’emittente: se perculi i gay come esseri ridicoli, hai torto). Le idee, e la lingua che le esprime, si adeguano ai mutamenti della società: possono farlo in peggio, come durante il nazismo, o in meglio, come sta accadendo nelle democrazie occidental­i grazie ai movimenti per i diritti civili. Oggi, per esempio, non sono più accettabil­i barzellett­e come questa, tratta da un’antologia stampata a New York nel 1921: “Un uomo di colore, benestante, si ammala, ma non migliora con le cure di un medico della sua stessa razza. Così chiama un medico bianco, che dopo un esame accurato gli domanda: ‘L’altro dottore le ha preso la temperatur­a?’ Il malato scuote la testa: ‘Non lo so, signore. Mi pare mi manchi solo l’orologio’”.

(1. Continua)

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