Il Fatto Quotidiano

“Moro, Craxi disse che Gelli era alle riunioni del Viminale”

- » Stefania Limiti

Silenzi e depistaggi hanno ‘ intrappola­to’ il caso Moro. Sandra Bonsanti, cronista che ha ingaggiato una sorta di ‘ corpo a corpo‘ contro il potere occulto, ha un ricordo preciso al riguardo: “Otto giorni dopo l’uccisione di Aldo Moro, Giacomo Mancini andò a Palazzo Chigi da Andreotti: ‘ero convinto’, mi disse, ‘che dovevamo far partire subito una commission­e d’inchiesta. Andreotti mi disse di no. ‘ Non è questo il momento’ ”. Passarono così giorni e mesi preziosi, tutto era immobile. Il ministro dell’interno Cossiga, durante il sequestro, aveva perfino chiesto ai magistrati di riferire solo a lui: non avrebbe potuto. Anche Rino Formica ricorda quei giorni. Esponente di primo piano del Partito socialista, membro della Commission­e Anselmi: il suo collega di partito Mancini parlò anche a lei della faccenda? “Sì, è vero che Andreotti bloccò il dibattito. La Dc non sarebbe stata in grado di affrontare un confronto che avrebbe esasperato la ragione di noi ‘ trattativi­sti’”. Sandra Bonsanti ripensa a quel che non fu fatto: “È scandaloso che a 44 anni di distanza, non rimanga che rileggere le interrogaz­ioni che si ammucchiav­ano una sull’altra, senza risposta. I comunisti, soprattutt­o, volevano sapere quale fosse stato il ruolo della P2. ‘ Gelli ha partecipat­o ai comitati di crisi?’ chiedeva Napolitano”.

PER MOLTO TEMPO l’italia si è illusa che quel Comitato dei saggi voluto da Cossiga al Viminale, tutti piduisti, si riunisse davvero per salvare il presidente della Dc. Ma Craxi svelò a Bonsanti che anche Gelli partecipav­a alle loro riunioni. “Eravamo in piazza Navona, mi confidò che anche il capo della P2 aveva preso parte direttamen­te alle riunioni. Poi gli eventi cancellaro­no tutto, il momento non era ancora arrivato”. Formica ricorda quelle voci? “Non ne ho mai parlato con Craxi che so ne fosse convinto. Ma io ho una visione mia: se partecipò in quel contesto portava il caffè. Fa comodo ancora oggi riportare la P2 alla personaliz­zazione del capo, ma Gelli era solo uno spregiudic­ato, con il compito di mettere ordine alle frontiere, intorno a lui c’erano molte altre persone”. “Era il gran maestro, non c’è dubbio. Altra cosa è il potere intorno a lui. Alcuni ambienti – dice Bonsanti – guardavano con sospetto Lelio Lagorio (il cui nome non risultò negli elenchi P2 anche se il gran maestro Lino Salvini alla Commission­e P2 disse che c’era anche lui).

C’è ancora un appunto dell’epoca. Tina (Anselmi, presidente della Commission­e P2) mi disse che Gianni Agnelli le aveva mandato a dire tramite sua sorella Suni di stare attenta a Logorio perché era lui il capo della P2”. Formica alza le spalle: “Forse da buon toscano Lagorio era legato ad alcuni circoli ma non ho mai sentito nulla riguardo. Posso dire che era un uomo della Nato, questo senz’altro”. Ma da ministro della Difesa fu il garante dei militari piduisti… “In ogni ministero venne istituita una commission­e ad hoc e ovunque fu scelta l’indulgenza. No, quelle voci su Lagorio non mi convincono affatto. Anche perché sono convinto che il vero capo della P2 fosse un altro. Francesco Cosentino”. “Cosentino, un uomo di gran potere. Non posso sopportare – d ic e Bonsanti – c he sia in quella foto, dietro al presidente De Nicola che firma la Costituzio­ne. Ha sempre agito dietro le quinte. Mancini mi disse, ancora, che Gelli si presentò un giorno a casa sua portato dal segretario generale della Camera, Francesco Cosentino, poi in una altra occasione dal socialista Vanni N isticò. Capisci? Il segretario generale con Gelli!”. Rino Formica ha una idea precisa del personaggi­o :“Cosentino è espression­e del‘ Partito del Quirinale ’”. Cosa intende ?“Qualche anno prima dimoro, Giacomo Mancini fece un discorso alla conferenza d’organizzaz­ione del Psi a Firenze nel quale propose di scrivere la storia dei settennati, dei presidenti della Repubblica. Ma nessuno lo capì: lui era convinto che tutto si giocasse al Quirinale, e che il partito del Quirinale fosse centrale nella normalizza­zione del Paese. Oggi possiamo dire che aveva ragione: il vero ‘capo’ della P2 in Italia era Cosentino, lui scrive il famigerato Piano di Rinascita, lui era il garante internazio­nale e lui era espression­e del Partito del Quirinale. Nei diari di Luciano Barca si racconta che nei giorni in cui si stava votando Leone al Quirinale (dicembre ’71) fu avvicinato da Carmelo Spagnuolo (alto magistrato, piduista e amico di Sindona) che gli disse: ‘Noi siamo disposti a votare Pertini invece di Leone, ma Pertini deve portare con sé al Quirinale Cosentino’. Solo Cossiga riuscì a non essere influenzat­o da quel partito ma perché lui ne era parte”. Una chiave d’analisi che Sandra Bonsanti condivide ma sembra proprio non bastarle: “È passato quasi mezzo secolo e la magistratu­ra sta ancora oggi indagando, persino sulle riunioni che i brigatisti tenevano nella mia Firenze. Se il toscano Senzani abbia avuto un ruolo, ancorché i processi lo abbiano escluso (nell’inchiesta in corso a Roma, prosecuzio­ne di quella della Commission­e Moro 2 presieduta da Beppe Fioroni, è stato prelevato anche a lui il Dna). Verrà da un mozzicone di sigaretta la verità? Verrà finalmente buttato giù il muro del silenzio di Stato? Serve cercare con pazienza i testimoni di allora, quelli che avevano gli strumenti per seguire le mosse sulla scacchiera”.

Il rapimento La giornalist­a: “I saggi di Cossiga? Illusorio che lavorasser­o per liberarlo” Formica: “Cosentino – uomo del partito del Colle – capo P2”

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FOTO ANSA Il prigionier­o La foto di Aldo Moro contenuta nel famoso “comunicato numero 7”

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