Delitto Regeni, altre torture: “Scosse elettriche su Giulio”
I verbali esclusivi Appena 72 ore dopo la scomparsa, due uomini raccontano di aver visto Giulio nel carcere di Nasr City: “Interrogato per ore, su di lui hanno usato le scosse elettriche”
■ Due uomini ricordano di aver visto in carcere il ricercatore 72 ore dopo la sua scomparsa: “Interrogato per ore, sevizie per giorni”. Le contraddizioni di Sharif, accusato di omicidio
“Giuli o. .. dove hai appreso le tecniche per affrontare gli interrogatori?”. Tra il 28 e il 29 gennaio 2016, tre giorni dopo la scomparsa, Giulio Regeni si trova nel carcere di Nasr City al Cairo, “una struttura detentiva ‘informale’”. Gli agenti egiziani insistono, sono convinti che sia la spia che non è mai stato. Lo interrogano per due giorni. E lo torturano. “Erano nervosi” e “anche quando non rispondeva, usavano la scossa elettrica e lo torturavano”. Ad ascoltare quelle domande e quel dolore c’erano due detenuti, due uomini, che solo poche settimane fa hanno fornito agli investigatori italiani che indagano sul sequestro e sull’omicidio del ricercatore italiano, nuovi dettagli sugli ultimi giorni della sua vita. La loro testimonianza è agli atti dell’inchiesta capitolina di cui è titolare il sostituto procuratore Sergio Colaiocco. I pm romani per quattro agenti della National Security Agency (i servizi segreti egiziani) hanno chiesto il processo: l’udienza preliminare è fissata per il prossimo 29 aprile.
GIÀ MOLTE PERSONE
si erano fatte avanti negli ultimi mesi raccontando nuovi elementi del sequestro. E a questi ora si aggiungono i teste “Et a” e “Theta” (così vengono indicati negli atti della Procura di Roma che ne vuole tutelare l’identità). Entrambi furono arrestati nell’agosto del 2015 poco dopo il loro ingresso in Egitto attraverso la Striscia di Gaza. La loro detenzione nella struttura di Nasr City è durata oltre due anni ed è negli ultimi giorni di gennaio che, a loro detta, vedono in quello stesso edificio Giulio Regeni. La loro versione è stata raccolta da un giornalista della testata Al Araby, in quattro video- interviste, ancora non pubblicate ma già acquisite dagli investigatori italiani. “Il luogo dove eravamo rinchiusi – racconta “Eta” – è sito nella città del Cairo, a Nasr City (...) sede dell’intelligence militare egiziana”. “Era un carcere destinato alla sicurezza nazionale e non un carcere statale... (...) Nessuno sapeva che lì all’interno vi era un carcere. (...) La maggior parte dei presenti nel carcere, detenuti insieme a noi, erano persone fatte sparire in modo coattivo (rapite, ndt) di cui nessuno sa nulla”. Il teste “Eta” dice di aver visto Regeni il 28 e il 29 gennaio 2016. “L’avevo avvistato diretto verso il luogo dell’interrogatorio. Non l’avevo visto di viso in modo diretto. Era... possiamo dire... bendato... ammanettato. L’avevo avvistato di profilo, mentre transitava dal corridoio”.
Qui secondo il teste “Eta” il 28 gennaio 2016 Regeni viene sottoposto a un primo interrogatorio durato circa sei ore: “Le domande che l’investigatore rivolgeva a Regeni – rivela – erano incentrate... riguardavano il motivo principale per il quale si era recato in Egitto. Il discorso era incentrato sul fatto che (Regeni, ndt) si era recato in Egitto in un momento delicato (del Paese, ndt), o ancora se era in contatto o meno con qualcuno all’estero”. Quel giorno, racconta il testimone, Regeni “era normalissimo, non ri
Gli chiedevano: ‘Dove hai appreso le tecniche per affrontare gli interrogatori? L’italia non ti salva’
portava segni di torture”. Durante l’interrogatorio però “aveva subito forti torture, tra cui le minacce, la scossa elettrica, le percosse. Dopo essere uscito (dall ’ interrogatorio, ndt) (...) mostrava segni di affaticamento, ma non si notavano particolari segni sul viso o sul corpo”. Il 29 gennaio c’è un nuovo interrogatorio, stavolta di circa 4 ore. “Si differenziava dal primo giorno dal modo in cui (Regeni,
ndt) ne era uscito, perché questa volta portato a braccia, tanto era provato e affaticato”.
QUESTA VERSIONE
viene confermata da un altro testimone, indicato come “T he ta”. Quest’ultimo vede il ricercatore italiano solo il 29 gennaio 2016: “Noi vedevano il suo volto bendato e ammanettato con le mani indietro. Lo vedevano dalla finestra del bagno quando transitava”. Durante l’i nterrogatorio “Theta” dice anche di aver carpito alcune domande: “Dove hai conseguito il corso per affrontare l’interrogatorio?”. E ancora: “L’italia non ti può salvare”.
“Se Regeni avesse risposto o meno, questo non lo avevamo sentito – racconta “T heta” – Quelli che insistevano su questo punto erano nervosi. Anche quando non rispondeva, usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente elettrica”. “Nel secondo giorno in cui lo avevo visto – aggiunge ancora “Theta” –, il 29 gennaio quando era uscito a fine interrogatorio, versava in pessime condizioni, portato e trascinato dalle guardie carcerarie”. E poi aggiunge: “Come ho saputo che si trattava di Giulio Regeni? Durante l’interrogatorio li sentivo ripetutamente chiamare e pronunciare: ‘ Regeni... Regeni’”. Di quel carcere “Theta” fornisce anche altri dettagli: “(...) Io non so se vi era un fascicolo personale su di me o altro. Io ero entrato nel carcere. Ero stato rapito. Sono stato interrogato. Infine sono uscito dal carcere senza sapere il come, il perché ero stato rapito e chi vi era dietro! Non posseggo un fascicolo, non sono stato accusato di niente e non ho subito nessun processo in tribunale!”.
Grazie a queste nuove testimonianze gli investigatori sono riusciti anche a ricoprire quelli che finora erano dei buchi vuoti della vicenda. Di Regeni infatti si perdono le tracce il 25 gennaio 2016. Secondo i testimoni “Eta” e “Theta” dal 28 al 29 gennaio, il ricercatore viene portato nella sede dei servizi militari di Nasr City “un istituto – è annotato in un’informativa dei carabinieri dei Ros – deputato a detenere prigionieri politici”. Qui Regeni viene interrogato e torturato per due giorni. Per gli investigatori del Ros il racconto di “Eta” e“theta” è attendibile: “Riporta uno scenario perfettamente coerente con quello che emerge dai risultati delle indagini condotte in Italia”. Non solo, ma le nuove t e s t i m onianze collimano con quanto detto da un altro uomo, l’egiziano “E p s i l o n” il quale ha riferito che il 28 o il 29 gennaio 2016, “in orario serale” era andato nella sede della National Security a Lazoughly e lì, al primo piano, nella stanza 13, ha visto “Regeni sdraiato a terra, nudo e con evidenti ferite al viso e sul corpo”.
SCRIVONO
i carabinieri: “L’ipotesi che è possibile formulare alla luce di tali evidenze è che Regeni possa essere stato trasferito da Lazoughly anasr City per essere interrogato e che il
29, non avendo più la forza di camminare
(come affermato dai due testimoni), sia proprio la data nella quale ‘Epsilon’” dice di averlo visto. “D’altronde – continuano gli investigatori – l’ipotesi di un trasferimento di Regeni da un luogo a un altro” trova conferma proprio nelle parole del nuovo testimone, “Eta ”, quando riporta la frase di uno dei suoi carcerieri: “Chi entra qui non esce, ma viene trasferito altrove”.
Dopo gli interrogatori e le torture, ciò che è avvenuto a Giulio Regeni è noto: secondo la perizia disposta dagli inquirenti italiani, viene ucciso tra il 31 gennaio e il 2 febbraio. Il suo corpo viene ritrovato il 3 febbraio lungo l’autostrada che collega il Cairo ad Alessandria. Da quel momento le indagini italiane, con scarsa collaborazione da parte dell’egitto, hanno provato a rimettere insieme, grazie anche a queste nuove testimonianze, i tasselli della terribile vicenda. E ora i magistrati sono pronti ad affrontare l’udienza del 29 aprile.