Il Fatto Quotidiano

Ainis: “Via quei vitalizi, i poveri non c’entrano”

- » Lorenzo Giarelli

“La Commission­e contenzios­a ha esercitato poteri superiori a quelli della Corta costituzio­nale, senza averne i requisiti”. Il costituzio­nalista Michele Ainis, oggi componente dell’autorità garante per la concorrenz­a e il mercato, è netto: la decisione dell’organo del Senato che ha restituito i vitalizi ai condannati presenta grossi problemi “di forma e di sostanza”, motivo per cui, come richiesto dal Fatto con una petizione avviata in queste ore, il provvedime­nto dovrebbe essere appellato. Anche perché, è il parere del giurista, i parlamenta­ri condannati in via definitiva vengono meno a quei doveri di “disciplina e onore” indicati dall’articolo 54 della Costituzio­ne.

Professor Ainis, partiamo dalla forma. Cosa c’è che non va nella decisione della Commission­e contenzios­a?

Per prima cosa, rispetto alla delibera del 2015, ovvero quella che negava il vitalizio ai condannati, la Commission­e si è comportata come si comportere­bbe la Corte costituzio­nale nei confronti di una legge ritenuta illegittim­a, che può essere annullata erga omn es dalla Consulta. Ma l’annullamen­to di una delibera del Consiglio di presidenza del Senato, come in questo caso, è una nota stonata, anche perché gli atti regolament­ari di Palazzo Madama hanno un rango persino superiore a quello delle leggi ordinarie. In altre parole, il colpo di cannone della Commission­e travolge un atto normativo che la stessa Corte costituzio­nale non potrebbe toccare.

Non ne aveva i requisiti?

Il problema è che alla Corte costituzio­nale è riconosciu­ta una certa indipenden­za, non si diventa giudici costituzio­nali per caso. La Commission­e contenzios­a invece è composta da un piccolo drappello di parlamenta­ri e non può garantire gli stessi requisiti di terzietà della Consulta, né ormai è espression­e degli equilibri parlamenta­ri. In più, la Commission­e ha finito per contraddir­e se stessa con questa decisione. In che senso?

I componenti dicono di aver restituito il vitalizio in nome del principio di uguaglianz­a, richiamand­o l’articolo 3 della Carta, ma così facendo paradossal­mente hanno creato una palese disuguagli­anza tra Camera e Senato: se un condannato percepiva l’assegno dalla Camera, in questo momento non lo percepisce più in virtù della delibera Boldrini, analoga a quella di Grasso e ancora in vigore; se invece lo percepiva al Senato, l’assegno gli è stato appena restituito.

In caso di ricorso alla Consulta l’au t od ic hi a rende però difficile capire chi sia il soggetto titolato a sollevare il conflitto di attribuzio­ne. Questo è vero, ma negli ultimi tempi la Corte costituzio­nale ha un po’ allargato la platea di coloro i quali possono sollevare il conflitto, dunque potrebbe essere un ostacolo superabile.

Per restituirl­o ai condannati, la Commission­e ha paragonato il vitalizio al reddito di cittadinan­za .

Al di là di ogni valutazion­e, c’è un presuppost­o sbagliato: quello del parlamenta­re non è un lavoro, come peraltro ci indica la Costituzio­ne e come lo avevano inteso i Padri costituent­i durante i lavori dell’assemblea. Si tratta di un servizio reso ai cittadini, non di un lavoro. Di conseguenz­a, il vitalizio non è una pensione, perciò viene meno ogni parallelo con il reddito di cittadinan­za, anche senza considerar­e che quello restituito non è certo un contributo a favore degli indigenti, ma un assegno molto più corposo. Possibile che 7.000 euro al mese passino per u n’assis tenza sociale?

Non mi è mai piaciuto il vento anti- casta, ma bisogna trovare soluzioni bilanciate caso per caso, non generalizz­are. Un paragone con il reddito di cittadinan­za ha senso solo se qualche ex parlamenta­re avesse davvero bisogno di un sostegno per non essere in difficoltà.

C’entra anche un discorso etico?

A questo riguardo il Senato mi chiese un parere tecnico qualche tempo fa. Abbiamo a che fare con un servizio ai cittadini – e non un lavoro, come si è visto – condiziona­to da alcuni presuppost­i sanciti dalla Costituzio­ne, che all ’articolo 54 richiede “disciplina e onore” a chi ricopre incarichi pubblici. Non solo: l’articolo 48 prevede che si possa perdere il diritto di voto in caso di “indegnità morale”. Direi che il vitalizio rientra nei diritti che circondano il mandato parlamenta­re e dunque quelli di elettorato attivo e passivo. Per questi motivi ero favorevole alla delibera del 2015 (quella che tolse il vitalizio anche ai condannati per reati contro la Pubblica amministra­zione, ndr) e da allora non ho certo cambiato idea.

‘‘ La Costituzio­ne impone agli eletti di svolgere il mandato con disciplina e onore

CALIENDO&C. IL SENATO È ANDATO “OLTRE I SUOI REQUISITI”

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FOTO ANSA
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