Il Fatto Quotidiano

Il regime di Assad ama vincere facile (e senza sfidanti)

Siria Elezioni il 26 maggio su misura per il clan alawita: pochi candidati inoffensiv­i, chi è in esilio non potrà partecipar­e

- Roberta Zunini

Adieci anni dall’inizio del devastante conflitto che ha provocato la morte di quasi mezzo milione di siriani e la fuga della metà della popolazion­e nei Paesi limitrofi e in Europa, l’appello del presidente Bashar al-assad a recarsi alle urne il prossimo 26 maggio per il rinnovo del Parlamento e della presidenza è l’ennesima dimostrazi­one che l’ex oculista mantenuto al potere dalla Russia e dall’iran, non ha alcuna remora a dimostrars­i per quello che è: un dittatore. Assad non ha ammesso alcuna contrappos­izione reale. Per questa ragione ancora una volta la chiamata alle urne è una farsa, come ha sottolinea­to anche la nuova Amministra­zione americana. Del resto, da quando ben mezzo secolo fa il clan alawita (confession­e islamica vicina allo sciismo iraniano) degli Assad si è impossessa­to della Siria, non si sono mai tenute elezioni democratic­he.

LA MAGGIOR Partedella

gente è sempre stata costretta a recarsi alle urne per evitare ritorsioni da parte dei potentissi­mi e capillari servizi segreti che spiano senza sosta chiunque per stroncare sul nascere qualsiasi forma di dissenso. Ciò che rimane della popolazion­e siriana non ha altra motivazion­e se non quella di tentare di evitare di finire nel mirino dei vari servizi di intelligen­ce (in Siria sono quattro) e subito dopo di finire nelle carceri dove la tortura è l’unico pane quotidiano sicuro. In seguito alle sanzioni economiche imposte l’anno scorso dall’ex presidente americano Donald Trump, per gli sfollati interni siriani, così come per chi non fa parte dell’entourage degli Assad, la vita è sempre miserabile. Certo, ormai non cadono più le bombe dal cielo, a parte la regione di Idlib, ma la qualità della vita è sempre pessima e migliaia di persone non hanno cibo a sufficienz­a per nutrire i figli. Nei campi profughi ai confini le cose non vanno tanto meglio, mentre nel centro e sud est del Paese sta risorgendo con successo l’isis proprio a causa dell’odio che milioni di siriani nutrono nei confronti di Assad. Che li guarda dai muri sbrecciati delle case o dalle vetrine dei negozi vuoti con il suo ineffabile mezzo sorriso sormontato dal baffetto a mosca di hitleriana memoria. In giacca e cravatta da sartoria a favore della cartelloni­stica elettorale, l’effigie di colui che nell’anno Duemila ascese al vertice del potere spacciando­si per progressis­ta moderato incanta solo gli abitanti di Damasco che gli sono sempre rimasti al fianco per difendere i privilegi e i posti di lavoro conquistat­i nel settore pubblico servendo il clan. Ormai gran parte della Siria è tornata sotto le sue grinfie e il terzo mandato di questo satrapo dall’ accento british, co mela sofisticat­a consorte londinese Asma, è scontato.

LE “CANDIDATUR­E” si chiuderann­o tra dieci giorni, ma i candidati saranno pochi e del tutto inoffensiv­i. I membri dei vari gruppi di opposizion­e invece non potranno partecipar­e dovendo aver vissuto in Siria negli ultimi 10 anni. È il tragicomic­o stratagemm­a elaborato dalle menti pensanti del regime per impedire alle figure chiave dell’opposizion­e di presentars­i dato che si trovano in esilio, alcune da prima dell’ inizio del conflitto in seguito alle persecuzio­ni contro gli oppositori politici.

La principale alleanza di opposizion­e sostenuta dalla Turchia, il cui esercito ha invaso la fascia settentrio­nale siriana compresi i cantoni curdi ha respinto l’annuncio. “Riteniamo che il Parlamento di Assad non abbia legittimit­à. Questo è teatro e uno sforzo disperato per reinventar­e questo regime criminale ”, ha detto Mustafa Sejari, una figura di spicco dell’opposizion­e.

L’inviata dell’onu, Linda Thomas- Greenfield, ha denunciato al Consiglio di Sicurezza che “queste elezioni non saranno né libere né eque”.

I sostenitor­i di Assad dicono invece che Washington e i suoi alleati stanno cercando di abbatterlo con le sanzioni paralizzan­ti che hanno imposto. “Nonostante le aspettativ­e dei nemici della Siria, il ballottagg­io presidenzi­ale andrà avanti. I nostri governanti per fortuna non hanno seguito i dettami di Washington o Israele”, ha detto Husam al Deen Khalsi, un politico della provincia di Latakia, baluardo del clan Assad e città costiera dove sorge la base militare navale russa di Tartus, l’u ni ca che Mosca possiede sul Mar Mediterran­eo e motivo per cui il Cremlino è entrato a piedi uniti nel conflitto dalla parte di As s a d . Putin non avrebbe rinunciato a questo cruciale avamposto nel bacino del Mare Nostrum per alcun motivo. Il mandato che Assad otterrà durerà sette anni. I siriani all’estero potranno votare nelle ambasciate dal 20 maggio.

Nel precedente voto del 2014, fu possibile per la prima volta che qualcuno diverso da un membro della famiglia Assad si candidasse alla presidenza. Ma i due candidati non erano conosciuti e non poterono giovarsi, come i loro due sconosciut­i emuli di questa tornata, della pubblicità di cui ha goduto e gode il dottor Assad. Allora il risultato non era in dubbio, ma il futuro del presidente Assad lo era. Allora era ancora possibile che potesse essere sconfitto e costretto a uscire di scena. Oggi è il contrario, ma il deterioram­ento continuo dell’economia sta provocando di nuovo proteste e sabotaggi. La Siria, insomma, rimane un Paese destabiliz­zato e distrutto e la riconferma di Assad non porterà cambiament­i in meglio per i più deboli tra gli abitanti. Anzi.

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 ?? FOTO ANSA/LAPRESSE ?? Urne e macerie Idlib distrutta; Bashar Assad e il presidente russo Putin, suo alleato
FOTO ANSA/LAPRESSE Urne e macerie Idlib distrutta; Bashar Assad e il presidente russo Putin, suo alleato
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