Il Fatto Quotidiano

Thomas Mann: molto narcisista, poco europeista

Un europeista poco convinto

- » Filippo Maria Pontani

Al 173 di boulevard St. Germain sorge oggi la casamadre parigina di Ralph Lauren. Nel gennaio 1926 il palazzo albergava il Centro europeo per la Pace tra le Nazioni, e ospitò una memorabile conferenza di Thomas Mann, giunto in treno insieme alla moglie Katia con il ruolo di “ambasciato­re culturale” della Repubblica tedesca, e sceso all’hôtel Palais d’orsay. Nel Resoconto parigino, che gli fruttò aspre critiche di “tradimento” in patria e che viene tradotto ora per la prima volta in italiano, Mann racconta la storia di quel viaggio, di quel discorso e degli otto giorni seguenti passati tra cene, riceviment­i e discussion­i con intellettu­ali e politici accorsi a riverire il grande scrittore (da Mauriac a Romains): pur condito da un forte narcisismo, è un diario di grande densità per approfondi­re la Montagna magica (uscita due anni prima), per ricostruir­e l’atmosfera della Parigi Anni

20, e per saggiare le dinamiche del continente.

Il Resoconto è ancora pervaso da un certo imbarazzo per le Consideraz­ioni di un impolitico, che nel 1918, alla fine della guerra mondiale, avevano collocato Mann nella schiera dei reazionari nazionalis­ti ostili all’idea di civilisati­on, al pacifismo, alla “propaganda della virtù messa in atto dalla democrazia”: una posizione che era valsa a Thomas anche un furioso dissidio con il fratello Heinrich, ardente pacifista repubblica­no, e sincero fautore della fratellanz­a europea. Se in patria l’adesione di Thomas alla democrazia di Weimar si era compiuta già nel ’ 22 con lo scritto Della Repubblica tedesca, in cui intravvede­va per la Germania un ruolo di mediazione tra l’oriente bolscevico e il formalismo dell’occidente, il viaggio in Francia era un modo per ribadire al nemico di sempre la nuova fede in una mutua comprensio­ne tra i popoli, in un continente in cui “parleremo francese e parleremo tedesco, e ci comprender­emo benissimo a vicenda”. È la fiducia, mutuata da Heinrich, nell’idea di un’europa unita. Tuttavia, accanto a questi principi che gli fruttano facile consenso, e la cui fragile base è ben chiara a intellettu­ali più lungimiran­ti e radicali come Tucholsky o Brecht, il Resoconto parigino è in

Ambasciato­re tedesco

Lo scrittore in Francia nel 1926 condanna il “dio prussiano”, ma pure la democrazia e il “pacifismo massonico”

teressante soprattutt­o per le scorie di contraddiz­ione che conserva. Accanto all’ambizioso progetto internazio­nalista e paneuropei­sta del conte Coudenhove (del quale Mann celebra il magnetico fascino), ritorna la sfiducia nel “pacifismo massonico dei congressi” e si affaccia a mezza bocca l’idea che il crollo del Reich “avrebbe finito per rimandare il consolidam­ento dell’europa alle calende greche”.

Accanto alla proclamazi­one dell’ imminente ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, e alla condanna del paganesimo etnico e della retorica del “vecchio dio prussiano” che fa presa su una parte della gioventù, vi è la pensosa conferma delle resistenze struttural­i che porrebbero la natura tedesca in contrasto con l’ideale democratic­o. Cruciali in questo senso, da parte di Mann, il recupero e la difesa del pensiero di Nietzsche, che annuncereb­be un superament­o del romanticis­mo, della democrazia e del fascismo; ma significat­iva anche l’ insistenza sull’ irriducibi­lità del carattere tedesco, moralista e austero, rispetto a quello gaudente e “di mondo” dell’uomo francese.

Ancora, accanto alla sbandierat­a fiducia nel futuro del continente fa capolino la convinzion­e che quella europea sia “una civiltà votata alla morte, anzi in realtà già morta, in procinto di essere inghiottit­a e sepolta dalle ondate proletarie provenient­i da oriente”: e, tra le irrazional­ità, è proprio il pericolo bolscevico che sembra spaventare Mann, che si immagina un giorno esule al pari di Ivan Bunin ( premio Nobel nel 1933, quattro anni dopo lo stesso Mann). Il Resoconto pullula di rifugiati: anzitutto i russi (Sestov, Smelev...), ma anche più anonimi italiani che denunciano i crimini del regime fascista: il fascismo tornerà nel ’ 30 in Mario e il mago. Non è forse un caso che proprio l’esilio sia al centro del grande romanzo storico cui Mann pone mano in questi mesi del ’26, Giuseppe e i suoi fratelli ( ristampato nel 2000 nei Meridiani Mondadori, che oggi fanno uscire il II e ultimo volume dei Romanzi).

Ma non fu Mann, bensì il rivoluzion­ario Tucholsky a capire lucidament­e, proprio nella Parigi del 1926, che tutto stava precipitan­do verso un nuovo conflitto, perché “questo ordine economico… necessita della guerra per poter vivere”.

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 ?? FOTO ANSA ?? Un Nobel “impolitico” Thomas Mann (1875-1955) in esilio in America nel 1946
FOTO ANSA Un Nobel “impolitico” Thomas Mann (1875-1955) in esilio in America nel 1946

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