5Stelle, gli elettori delusi
ELOGIO DI ROUSSEAU L’asso nella manica del neo Movimento, per distinguersi da tutti gli altri partiti, potrebbe essere proprio una piattaforma digitale, come ha evidenziato il neo leader Conte
Nei giorni scorsi Conte ha dichiarato che il neo- Movimento 5 Stelle resta post-ideologico, cioè né di destra, né di sinistra.
Letta se ne è mostrato soddisfatto sia perché in tal modo il Pd, che si definisce “di sinistra”, può egemonizzare il campo progressista, sia perché, almeno a livello definitorio, si evita un’eccessiva sovrapposizione tra i due partiti che altrimenti finirebbero per pescare nello stesso segmento elettorale trasformandosi da alleati in concorrenti. In tal modo il Pd si colloca almeno a parole sulla sinistra del neo- Movimento mentre questo, incastrato tra Pd e Lega, si logorerà in una perenne indecisione identitaria.
Un tale scacchiere è plausibile in astratto, ma confligge con la storia perché negli ultimi anni è stato il Pd a spostarsi verso destra, mentre il Movimento faceva il percorso inverso. Secondo uno studio dell’istituto Cattaneo, alle elezioni politiche del 2018, quando i 5 Stelle ottennero il 32,4% dei voti, quasi il 45% di quei voti venivano da elettori di sinistra; il 37% degli operai e il 38% dei disoccupati avevano votato per il Movimento.
Durante il governo gialloverde di Conte, ilmovimento si è liberato dei suoi elettori di destra, passati con Salvini e poi ha promosso gli unici provvedimenti “di sinistra” realizzati in Italia negli ultimi anni: reddito di cittadinanza, decreto dignità, politiche ambientali, bonus vari. In tutte le elezioni amministrative i 5 Stelle hanno ottenuto molti più voti nelle periferie urbane che nei centri delle città.
Ben diversa è stata la storia del Pd. Dalla caduta del fascismo fino a Berlinguer, il Pci rimase un partito prevalentemente comunista nelle idee e nelle azioni. I protagonisti successivi – da Napolitano a Veltroni – lo traghettarono dal comunismo alla socialdemocrazia; in fine Renzi lo spinse dalla socialdemocrazia al neo-liberismo riducendolo a quel poltronificio di cui Zingaretti si è vergognato abbandonandone la segreteria. Negli ultimi anni il Pd si è deprivato di personaggi progressisti come Bersani e Bassolino per infarcirsi di neo-liberisti come Renzi e Calenda, ma anche ora che questi se ne sono andati, resta un partito a vocazione governativa e borghese, che ha perso ogni contatto con le sue radici proletarie e sottoproletarie. Letta ha proposto di modificare queste connotazioni ma se anche lo volesse fare e glielo facessero fare, occorrerebbe del tempo.
Invece, nel suo discorso all’assemblea dei 5 Stelle, Giuseppe Conte ha rimarcato la necessità di muovere “secondo logiche e strategie mirate a ridurre le tante diseguaglianze”, spingendo “tutta l’unione europea a convergere su una ‘economia eco-sociale di mercato’”. Praticamente ha fatto delmovimento, esplicitamente, un antagonista di quel neo-liberismo al quale molti nel Pd tuttora si rifanno.
Sia Letta che Conte hanno dismesso termini come classe, proletariato, sottoproletariato, ecc. ma la maggiore attenzione di Conte per le disuguaglianze e il retaggio del reddito di cittadinanza fanno del neo-movimento un più credibile portavoce e difensore della marea di disagiati che preme ai confini del mercato del lavoro e che, fra qualche mese, sarà ulteriormente gonfiata dalla tempesta perfetta che si abbatterà su questo mercato.
Il numero dei disoccupati sta per aumentare a dismisura per effetto congiunto dei fallimenti aziendali causati dal Covid, dello sblocco dei licenziamenti, dei posti di lavoro distrutti dal progresso tecnologico e dalle delocalizzazioni, ma anche dagli effetti dello smart workinge dalla possente digitalizzazione incentivata con il Recovery plan. Chi si farà più carico di questa marea, il Pd o il neo-movimento?
Fra giorni Conte esibirà la Carta dei principi e dei valori dalla quale sarà possibile trarre indizi più precisi sulla sua collocazione ideologica. In Europa nessun capo di governo è riuscito a elaborare un paradigma con cuimettere a sistema le trasformazioni della società postindustriale, tutti limitandosi a esibire scampoli ideologici presi di volta in volta in prestito dal neo-liberismo o dal cristianesimo. È improbabile che Conte e Letta facciano eccezione.
Se il neo-movimento e il Pd difficilmente si differenzieranno in base al modello più o meno progressista della società che ciascuno di essi propone, è altrettanto difficile che si differenzino in base a una diversa struttura organizzativa. Insieme alla Carta, Conte renderà noto anche lo Statuto ma ha già detto che, nel loro rifondarsi e rigenerarsi, i 5 Stelle debbono “evitare di ricadere nei limiti della forma-partito tradizionale, che mostra evidenti segnali di crisi e varie in ad eg uate zz e”. Perciò Conte non ha mai parlato di “partito” ma solo di “neo - Movimen to”, intendendo forse una compagine politica capace di coniugare la razionalità del partito con l’emotività del movimento.
Della struttura partitica Conte ha adottato anzi tutto il presupposto logico che la giustifica, cioè la democrazia rappresentativa al posto della democrazia diretta. Ha rinunziato, così, al tratto distintivo dei 5 Stelle che lo avrebbe reso più inconfondibile rispetto al Pd. Ha poi promesso un’organizzazione ramificata sul territorio, indispensabile sia per esercitare le funzioni di proselitismo e formazione, sia per raggiungere anche quegli 11 milioni di italiani che non hanno Internet. Ma anche questa organizzazione territoriale accentuerà le somiglianze con il Pd e la sua rete di “circoli”.
Per distinguersi dal Pd, i 5 Stelle potrebbero valorizzare, invece che perdere, la loro anima movimentista, che garantirebbe una giusta dose di spregiudicatezza innovativa e di effervescente dinamica, contrastando ciò che Robert Michels chiamava “la legge ferrea dei partiti”, cioè la burocratizzazione e il clientelismo. Non a caso Togliatti si teneva Pajetta dentro il Pci, o De Gasperi si teneva La Pira e Dossetti. Perdere Di Battista e il suo gruppo consente una navigazione più tranquilla ma, recuperandoli, si eviterebbe di intorpidire il Movimento nella stessa bonaccia del Pd.
In fine, l’asso nella manica del neo-movimento per distinguersi da tutti gli altri partiti potrebbe essere la piattaforma digitale. Conte ha ammesso: “La democrazia diretta, soprattutto in forma digitale, è la novità più importante, l’aspetto più rivoluzionario introdotto dal Movimento. Va promossa e perseguita”. Probabilmente, ciò dicendo, pensa alla piattaforma come semplice strumento per votare questioni cruciali. Invece Davide Casaleggio ne ha fatto una macchina politico-digitale che svolge ben 19 funzioni e che ha accumulato tutto il know how necessario per costruire la
platform society teorizzata nel Manifesto Controvento. Per raggiungere con altri informatici la stessa potenza della piattaforma Rousseau, oggi il neo-movimento avrebbe bisogno di altrettanto tempo e altrettanta passione. Se, come pare, divorzierà dall’eco-sistema Rousseau, finiranno per rimetterci entrambi.
Allo stato dei fatti, dunque, sembra che il neo-movimento e il Pd tendano a sovrapporsi nella proposta, nella struttura e nell’immagine finendo per pescare nello stesso segmento elettorale e rischiando, così, di perdere le elezioni.