Pnrr, il governo in ritardo: meno controlli “verdi”
Il braccio di ferro tra i Paesi e la Commissione europea nella stesura dei Recovery Plan durerà senz’altro oltre la scadenza del 30 aprile, quando i piani dovranno essere inviati a Bruxelles. Al centro dei negoziati non ci sono solo i progetti e le risorse – incardinati in una complessa e a tratti astrusa griglia di norme e tempi scadenzati – ma l’ossatura stessa, per così dire, che accompagna i documenti, nello specifico le “riforme” chieste dalla Commissione. Il tema è dirimente, tanto più che ostacoli formali non ce ne sono più dopo che ieri la Corte costituzionale tedesca ha respinto i ricorsi contro la ratifica del Piano europeo.
CHI HA SEGUITO i negoziati conferma che il tema delle riforme è stato posto dai funzionari europei fin dall’inizio e fin dall’inizio ha creato molti attriti. Non è un mistero che il Recovery Fund, al netto del suo (modesto) impatto economico aiuti Bruxelles a condizionare le politiche economiche dei Paesi nel prossimo quinquennio. Da qui le “riforme”, spesso invise per i loro costi sociali.
I segnali sono eloquenti. Nei giorni scorsi Palazzo Chigi ha smentito la Reutersche parlava di un ritardo nell’elaborazione del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) che deve spendere i fondi europei, la cui consegna sarebbe slittata a metà maggio per la mancanza di dettagli sulla governance e “la sostanza di alcune delle riforme delineate, incluso quella del sistema giud iz ia r io ”. Il premier Draghi vuole “accelerare”, viene fatto filtrare, ma alcuni punti non sono effettivamente stati delineati, compresi i costi (ieri, per dire, l’ufficio parlamentare di bilancio ha spiegato che le riforme “collegate” al Def non hanno coperture). Un tema secondario per il governo, non per la Commissione secondo meglio far slittare la consegna di un paio di settimane per dettagliare meglio il piano.
Se in Italia si procede al buio, una buona approssimazione di quel che sta accadendo è il dibattito in corso in Spagna. Madrid ha dovuto far slittare di un mese la consegna del suo Piano (che impegna 140 miliardi, di cui 70 di sussidi) dopo un lungo braccio di ferro con Bruxelles che lamentava l’assenza di alcune riforme rilevanti: lavoro, pensioni e fisco.
Secondo El Paìs, Bruxelles ha chiesto modifiche al sistema fiscale (alzando l’iva), alla legislazione del lavoro in tema di disoccupazione e ha considerato i piani pensionistici – frutto di una difficile mediazione tra Pse e Podemos – “poco ambiziosi”. Lo stallo è durato oltre un mese e alla fine si è chiuso con una “pausa negoziale”: ieri il premier Pedro Sanchez ha presentato le linee guida del piano che per ora esclude queste riforme. Il governo spagnolo vuole giustamente discuterle con le parti sociali e Bruxelles ha accettato di sospendere la richiesta, ma non significa che non tornerà a insistere sul punto. Anche i Paesi nordici hanno ricevuto richieste di correzione. Alla Germania è stato contestato di non aver inserito una riforma delle pensioni, così come ai Paesi Bassi (oltre alla revisione delle norme che li rendono un paradiso fiscale), ma è con gli Stati più indebitati e in crisi (e che quindi ricevono più fondi in forma di sussidi) che la pressione può funzionare.
L’arma negoziale in mano alla Commissione sono le risorse. Non a caso la Spagna ha deciso di usare solo una parte dei prestiti del Recovery per evitare di aumentare il tasso di condizionalità. Nel suo piano, l’italia prevede alcuni evergreeen : dalla riforma della Pubblica amministrazione alla giustizia civile, al fisco per finire a una revisione dei sussidi dannosi per l’ambiente (Sad). Le regole del Recovery and Resilience Facili
POLEMICHE SUI GIORNALI IBERICI LE RICHIESTE “AUSTERE” DELL’UE
ty, il cuore del piano europeo, prevedono di dettagliare riforme che accompagnino progetti e missioni dei piani nazionali in linea con le “Raccomandazioni per Paese” stilate dalla Commissione. Per l’italia prevedono un po’ di tutto, oltre alla solita riduzione del debito contenendo la spesa pubblica: su alcune, dal lavoro alle pensioni, ci siamo portati avanti da soli (legge Fornero, Jobs act, etc.) in ossequio alla famosa lettera della Bce dell’estate 2011.
IL TEMA È DIRIMENTE. I regolamenti prevedono di poter sospendere l’erogazione delle risorse in caso di violazione delle regole fiscali europee: per ora sono sospese fino al 2023, ma la pressione dei Paesi del Nord per ripristinarle tout court non sono cessate. Nei giorni scorsi, in una raccomandazione all’ocse che doveva stilare un rapporto sull’economia spagnola, la Germania ha chiesto di avviare subito un piano di tagli di spesa per ridurre il debito pubblico (che è al 120% del Pil e ci resterà a lungo).