Il Fatto Quotidiano

Pnrr, il governo in ritardo: meno controlli “verdi”

- » Carlo Di Foggia

Il braccio di ferro tra i Paesi e la Commission­e europea nella stesura dei Recovery Plan durerà senz’altro oltre la scadenza del 30 aprile, quando i piani dovranno essere inviati a Bruxelles. Al centro dei negoziati non ci sono solo i progetti e le risorse – incardinat­i in una complessa e a tratti astrusa griglia di norme e tempi scadenzati – ma l’ossatura stessa, per così dire, che accompagna i documenti, nello specifico le “riforme” chieste dalla Commission­e. Il tema è dirimente, tanto più che ostacoli formali non ce ne sono più dopo che ieri la Corte costituzio­nale tedesca ha respinto i ricorsi contro la ratifica del Piano europeo.

CHI HA SEGUITO i negoziati conferma che il tema delle riforme è stato posto dai funzionari europei fin dall’inizio e fin dall’inizio ha creato molti attriti. Non è un mistero che il Recovery Fund, al netto del suo (modesto) impatto economico aiuti Bruxelles a condiziona­re le politiche economiche dei Paesi nel prossimo quinquenni­o. Da qui le “riforme”, spesso invise per i loro costi sociali.

I segnali sono eloquenti. Nei giorni scorsi Palazzo Chigi ha smentito la Reutersche parlava di un ritardo nell’elaborazio­ne del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) che deve spendere i fondi europei, la cui consegna sarebbe slittata a metà maggio per la mancanza di dettagli sulla governance e “la sostanza di alcune delle riforme delineate, incluso quella del sistema giud iz ia r io ”. Il premier Draghi vuole “accelerare”, viene fatto filtrare, ma alcuni punti non sono effettivam­ente stati delineati, compresi i costi (ieri, per dire, l’ufficio parlamenta­re di bilancio ha spiegato che le riforme “collegate” al Def non hanno coperture). Un tema secondario per il governo, non per la Commission­e secondo meglio far slittare la consegna di un paio di settimane per dettagliar­e meglio il piano.

Se in Italia si procede al buio, una buona approssima­zione di quel che sta accadendo è il dibattito in corso in Spagna. Madrid ha dovuto far slittare di un mese la consegna del suo Piano (che impegna 140 miliardi, di cui 70 di sussidi) dopo un lungo braccio di ferro con Bruxelles che lamentava l’assenza di alcune riforme rilevanti: lavoro, pensioni e fisco.

Secondo El Paìs, Bruxelles ha chiesto modifiche al sistema fiscale (alzando l’iva), alla legislazio­ne del lavoro in tema di disoccupaz­ione e ha considerat­o i piani pensionist­ici – frutto di una difficile mediazione tra Pse e Podemos – “poco ambiziosi”. Lo stallo è durato oltre un mese e alla fine si è chiuso con una “pausa negoziale”: ieri il premier Pedro Sanchez ha presentato le linee guida del piano che per ora esclude queste riforme. Il governo spagnolo vuole giustament­e discuterle con le parti sociali e Bruxelles ha accettato di sospendere la richiesta, ma non significa che non tornerà a insistere sul punto. Anche i Paesi nordici hanno ricevuto richieste di correzione. Alla Germania è stato contestato di non aver inserito una riforma delle pensioni, così come ai Paesi Bassi (oltre alla revisione delle norme che li rendono un paradiso fiscale), ma è con gli Stati più indebitati e in crisi (e che quindi ricevono più fondi in forma di sussidi) che la pressione può funzionare.

L’arma negoziale in mano alla Commission­e sono le risorse. Non a caso la Spagna ha deciso di usare solo una parte dei prestiti del Recovery per evitare di aumentare il tasso di condiziona­lità. Nel suo piano, l’italia prevede alcuni evergreeen : dalla riforma della Pubblica amministra­zione alla giustizia civile, al fisco per finire a una revisione dei sussidi dannosi per l’ambiente (Sad). Le regole del Recovery and Resilience Facili

POLEMICHE SUI GIORNALI IBERICI LE RICHIESTE “AUSTERE” DELL’UE

ty, il cuore del piano europeo, prevedono di dettagliar­e riforme che accompagni­no progetti e missioni dei piani nazionali in linea con le “Raccomanda­zioni per Paese” stilate dalla Commission­e. Per l’italia prevedono un po’ di tutto, oltre alla solita riduzione del debito contenendo la spesa pubblica: su alcune, dal lavoro alle pensioni, ci siamo portati avanti da soli (legge Fornero, Jobs act, etc.) in ossequio alla famosa lettera della Bce dell’estate 2011.

IL TEMA È DIRIMENTE. I regolament­i prevedono di poter sospendere l’erogazione delle risorse in caso di violazione delle regole fiscali europee: per ora sono sospese fino al 2023, ma la pressione dei Paesi del Nord per ripristina­rle tout court non sono cessate. Nei giorni scorsi, in una raccomanda­zione all’ocse che doveva stilare un rapporto sull’economia spagnola, la Germania ha chiesto di avviare subito un piano di tagli di spesa per ridurre il debito pubblico (che è al 120% del Pil e ci resterà a lungo).

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Il premier Sanchez e Ursula von der Leyen
FOTO LAPRESSE Braccio di ferro Il premier Sanchez e Ursula von der Leyen

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