Il Fatto Quotidiano

• Fini Chi deve tacere su Grillo

- MASSIMO FINI (M. TRAV.)

Grillo ha sbagliato. Con tutta evidenza. Tu non puoi pretendere perché sei popolare e potente che tuo figlio abbia davanti alla Magistratu­ra un trattament­o diverso da quello che tocca, o dovrebbe toccare, a qualsiasi altro cittadino. L’atteggiame­nto di Grillo è particolar­mente grave per l’esponente di un movimento, i 5Stelle, che aveva fatto del principio “la legge è uguale per tutti” (il grido “onestà, onestà” in fondo significav­a questo) un suo vessillo e per il teorico dell’ “uno vale uno”. Quando tocca a lui, uno non vale più uno. Siamo alle solite.

Ma trovo altrettant­o ripugnante, maramaldes­co e vile infierire su un padre comunque sofferente solo a fini di strumental­izzazione politica come han fatto Alessandro Sallusti, Maurizio Belpietro, Matteo Salvini, Maria Elena Boschi, Debora Serracchia­ni, Alessia Rota e tutta la fa ir y band dei politici o dei loro servi. Salvini è stato il primo ad aprire le danze, eppure proprio lui dovrebbe essere sensibile all’a rgom en to perché fu attaccato in modo pesante e del tutto sproporzio­nato per una molto più innocente bagattella del suo figlio ragazzino che si era messo in sella a una moto della polizia che il padre comandava (chi al suo posto non l’avrebbe fatto?). Ma chiedere una sensibilit­à umana a Salvini è come pretendere da un vampiro di astenersi davanti a un secchio di sangue. Più scoperta e anche peggiore è la posizione dei Sallusti e dei Belpietro che scoprono ora, improvvisa­mente, il diritto all’indipenden­za della magistratu­ra dopo averla attaccata in tutti i modi negli ultimi vent’anni a beneficio del loro padrone, Silvio Berlusconi.

Io non ho mai amato i linciaggi. Ho sempre pensato che chi lincia si mette allo stesso livello di colui che viene linciato o ne è addirittur­a un gradino sotto. È mia abitudine schierarmi dalla parte del perdente. Quando Bettino Craxi cadde nel fango e improvvisa­ti fiocinator­i, e fra loro c’era anche chi, come Claudio Martelli, gli doveva tutto, si accanivano sulla balena ferita a morte (o il cinghialon­e, per dirla col Feltri di allora, forcaiolo quanti altri mai prima di diventare garantista a uso berlusconi­ano), io che a Craxi non dovevo niente se non degli insulti molto pesanti (“un giornalist­a ignobile che scrive cose ignobili”, da New York nientemeno) scrissi sull’in dipendente un editoriale in cui difendevo ciò che di Craxi si poteva ancora difendere: “Vi racconto il lato buono di Bettino” ( L’I n d ip e n de n t e, 17 dicembre 1992). Per lo stesso motivo ho trovato inutilment­e maramaldes­co quel “risalga a bordo, cazzo!” che Gregorio De Falco indirizzò al comandante della Costa Concordia, pur sapendo benissimo che Schettino era ormai totalmente fuori gioco. È grazie a quel “risalga a bordo, cazzo!” dove il core sta proprio nella parola “cazzo” che vuol dire che lui il De Falco, che mai aveva solcato il mare, aveva gli attributi e Schettino no, che lo stesso De Falco diventerà, acquisita questa fama del tutto immeritata, senatore per i 5Stelle che tradirà nel giro di pochissimi mesi ( incrocio di coincidenz­e).

Io non sto col vincente di giornata, preferisco il perdente (“Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse perderemo”, Amico fragile , De André). Ma questa parte di Don Chisciotte della Mancha, che mi è costata moltissimo sul piano profession­ale, sociale e alla fine anche esistenzia­le, mi ha stufato. Perché è inutile sempre, ma è più che mai inutile in un Paese come l’italia dove, come canta Gaber nel suo album Io non mi sento italiano, “si discute di tutto ma non cambia mai niente” o, per usare Tomasi di Lampedusa, si fa che tutto cambi perché nulla cambi.

“Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono” canta un Gaber deluso, amareggiat­o, disincanta­to (sul significat­o di questa canzone ho scritto un articolo che, a Marco Travaglio piacendo, verrà pubblicato penso intorno all’anno 2050). Nemmeno io mi sento italiano, ma per fortuna non lo sono. Sono a metà russo e più invecchio più mi sento russo. Noi russi, parlo del popolo va da sé, abbiamo enormi difetti, siamo tutto e il contrario di tutto, ma ci manca per lo meno il cinismo roman-andreottia­no. Che è la cifra dell’inguardabi­le Italia di oggi.

Caro Massimo, uomo di poca fede, l’articolo su Gaber uscirà venerdì o sabato, ma non ti dico di quale settimana, mese e anno.

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