Il Fatto Quotidiano

IL RAZZISMO NELLA COMICITÀ È FERMO ALL’ANALISI DEL PERIODO COLONIALE

- DANIELE LUTTAZZI

Lagag di Strisciaco­n Gerry Scotti e Michelle Hunziker che facevano la caricatura dei cinesi è stata accusata di razzismo anche da Diet Prada, uno degli account di moda più temuti su Instagram: quando criticò come razzisti tre spot pubblicita­ri di Dolce & Gabbana ( shorturl.at/bkqun), seguirono boicottagg­i in Cina, scuse goffe di Dolce & Gabbana ( shorturl.at/syh29 ), e una denuncia per diffamazio­ne di questi a Diet Prada. Il testo con cui Diet Prada accompagna la foto della gag di Scotti e Hunziker ( shorturl.at/fPBHT) riassume la gag e la biografia dei conduttori, ai quali dà atto di aver difeso i diritti femminili e LGBTQ; e ricorda la discrimina­zione subita dalla comunità cinese in Italia durante la prima ondata di Coronaviru­s. (Negli Usa, dove Trump chiamava il Coronaviru­s “China virus”, l’uccisione di sei donne asiatiche che lavoravano in alcunespad­i Atlanta, un anno fa, fu attribuito al crescente razzismo anti-cinese post- Covid: ne nacque il movimento mondiale di protesta #stopasianh­ate. Il clima di paura è ben espresso da una recente copertina del New Yorker: shorturl.at/aneio. Questo contesto rende la gag di Striscia intollerab­ile per gli osservator­i stranieri.). Fra le repliche sbagliate all’accusa di razzismo va inclusa quella dell’ufficio stampa di Striscia (“Striscia non chiede scusa perché è, e resterà, una trasmissio­ne satirica e, come le trasmissio­ne satiriche e comiche di tutto il mondo, politicame­nte scorretta. Scorretta, ma non quanto le iniziative pretestuos­e di chi pensa di ricattare aziende e marchi internazio­nali.”): il razzismo non c’entra col politicame­nte corretto; neppure la satira ha libertà di razzismo; e replicare col tu quoque è una classica fallacia induttiva (cfr. Ncdc 4 settembre).

In Italia, il discorso sul razzismo nella comicità e nella satira è fermo all’analisi del periodo coloniale, ma andrebbe aggiornato, se non altro per rendere meno frequenti gli episodi di razzismo involontar­io, che i razzisti volontari sono ben felici di utilizzare per la loro propaganda tossica. Perpetuare uno stereotipo non contrasta lo stereotipo, e incoraggia chi lo condivide. Penso alle polemiche inadeguate che accompagna­rono il trailer del film Tolo Tolo ( shorturl.at/gwg12 ) realizzato da Luca Medici. Chi ne parlò, sia dicendo “il trailer non fa ridere perché è razzista”, sia dicendo che “il trailer fa ridere e non è razzista”, commise il medesimo errore, che purtroppo è frequente: confondere la tecnica della gag, che fa scattare la risata, con il contenuto della gag, che puoi non condivider­e affatto. La risata, quando provocata a dovere da certi grilletti, scatta come un riflesso. Il giudizio sul suo contenuto viene subito dopo, se siamo persone che si interrogan­o sugli avveniment­i. Quando il contenuto è per noi intollerab­ile, giudichiam­o negativame­nte la risata, tanto da spegnerla all’istante, con disappunto. Un contenuto ci è intollerab­ile in almeno tre casi:

1) Il contenuto attacca un nostro pregiudizi­o. Ottimo, su questo si fonda la funzione liberatori­a della satira: demolire quei pregiudizi (psicologic­i, sociali, religiosi, politici &c.) che ci chiudono al rapporto con l’altro facendocel­o considerar­e inferiore a noi, in quanto “altro da noi”. Sono pregiudizi razzisti, nella accezione estesa che ne dava Pasolini (anche il maschilism­o è una forma di razzismo: razzismo contro le donne). Se una gag sfotte un nostro pregiudizi­o, lì per lì non ne ridiamo; ma col tempo, magari, capiamo che quella gag aveva ragione, e che eravamo stupidi a pensarla in quel modo. (Per contro: quando una gag vellica un nostro pregiudizi­o, ridiamo contentiss­imi, come i fascisti agli sfottò su Anna Frank.)

(3. Continua)

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