IL RAZZISMO NELLA COMICITÀ È FERMO ALL’ANALISI DEL PERIODO COLONIALE
Lagag di Strisciacon Gerry Scotti e Michelle Hunziker che facevano la caricatura dei cinesi è stata accusata di razzismo anche da Diet Prada, uno degli account di moda più temuti su Instagram: quando criticò come razzisti tre spot pubblicitari di Dolce & Gabbana ( shorturl.at/bkqun), seguirono boicottaggi in Cina, scuse goffe di Dolce & Gabbana ( shorturl.at/syh29 ), e una denuncia per diffamazione di questi a Diet Prada. Il testo con cui Diet Prada accompagna la foto della gag di Scotti e Hunziker ( shorturl.at/fPBHT) riassume la gag e la biografia dei conduttori, ai quali dà atto di aver difeso i diritti femminili e LGBTQ; e ricorda la discriminazione subita dalla comunità cinese in Italia durante la prima ondata di Coronavirus. (Negli Usa, dove Trump chiamava il Coronavirus “China virus”, l’uccisione di sei donne asiatiche che lavoravano in alcunespadi Atlanta, un anno fa, fu attribuito al crescente razzismo anti-cinese post- Covid: ne nacque il movimento mondiale di protesta #stopasianhate. Il clima di paura è ben espresso da una recente copertina del New Yorker: shorturl.at/aneio. Questo contesto rende la gag di Striscia intollerabile per gli osservatori stranieri.). Fra le repliche sbagliate all’accusa di razzismo va inclusa quella dell’ufficio stampa di Striscia (“Striscia non chiede scusa perché è, e resterà, una trasmissione satirica e, come le trasmissione satiriche e comiche di tutto il mondo, politicamente scorretta. Scorretta, ma non quanto le iniziative pretestuose di chi pensa di ricattare aziende e marchi internazionali.”): il razzismo non c’entra col politicamente corretto; neppure la satira ha libertà di razzismo; e replicare col tu quoque è una classica fallacia induttiva (cfr. Ncdc 4 settembre).
In Italia, il discorso sul razzismo nella comicità e nella satira è fermo all’analisi del periodo coloniale, ma andrebbe aggiornato, se non altro per rendere meno frequenti gli episodi di razzismo involontario, che i razzisti volontari sono ben felici di utilizzare per la loro propaganda tossica. Perpetuare uno stereotipo non contrasta lo stereotipo, e incoraggia chi lo condivide. Penso alle polemiche inadeguate che accompagnarono il trailer del film Tolo Tolo ( shorturl.at/gwg12 ) realizzato da Luca Medici. Chi ne parlò, sia dicendo “il trailer non fa ridere perché è razzista”, sia dicendo che “il trailer fa ridere e non è razzista”, commise il medesimo errore, che purtroppo è frequente: confondere la tecnica della gag, che fa scattare la risata, con il contenuto della gag, che puoi non condividere affatto. La risata, quando provocata a dovere da certi grilletti, scatta come un riflesso. Il giudizio sul suo contenuto viene subito dopo, se siamo persone che si interrogano sugli avvenimenti. Quando il contenuto è per noi intollerabile, giudichiamo negativamente la risata, tanto da spegnerla all’istante, con disappunto. Un contenuto ci è intollerabile in almeno tre casi:
1) Il contenuto attacca un nostro pregiudizio. Ottimo, su questo si fonda la funzione liberatoria della satira: demolire quei pregiudizi (psicologici, sociali, religiosi, politici &c.) che ci chiudono al rapporto con l’altro facendocelo considerare inferiore a noi, in quanto “altro da noi”. Sono pregiudizi razzisti, nella accezione estesa che ne dava Pasolini (anche il maschilismo è una forma di razzismo: razzismo contro le donne). Se una gag sfotte un nostro pregiudizio, lì per lì non ne ridiamo; ma col tempo, magari, capiamo che quella gag aveva ragione, e che eravamo stupidi a pensarla in quel modo. (Per contro: quando una gag vellica un nostro pregiudizio, ridiamo contentissimi, come i fascisti agli sfottò su Anna Frank.)
(3. Continua)