Il Fatto Quotidiano

“Papà sgridava con le voci di Stallone&c”

Claudio Amendola A vent’anni dalla morte, l’attore ricorda suo padre: “Al cinema gli davano solo ruoli minori. Poi ha rivoluzion­ato il doppiaggio”

- ▶ FERRUCCI

Basta chiudere gli occhi, a volte non serve neanche vedere la registrazi­one. Certe frasi, certe intonazion­i sono nella storia del cinema, galleggian­o nella nostra testa, vivono autonomame­nte; superano il significat­o e diventano significan­te. Il “no” di Al Pacino alla fine del Padrino, la vocina stridula di Hoffman in Tootsie , i tempi di De Niro in C’era una volta in America hanno tutti in comune un “grazie”.

Un grazie a Ferruccio Amendola.

Il 3 settembre di vent’anni fa moriva il più grande tra i doppiatori e c’è un’immagine, questa volta sì, per raccontare come lo stesso De Niro giudicava la sua voce italiana: anno 1991, Telegatti, sul palco sale l’attore statuniten­se e dopo di lui Ferruccio Amendola. Amendola si posiziona un passo dietro, come a dire non sono io il protagonis­ta. De Niro quel passo lo annulla.

In platea c’era Claudio Amendola e gli occhi estasiati sono quelli di un figlio orgoglioso: “È stato un momento di gratificaz­ione, il riconoscim­ento che papà ha sempre avuto dal pubblico, dal lavoro, dal successo; ma trovarsi lì, insieme all ’attore che preferiva, a sua volta rispettoso con lui, mi ha emozionato. Sapevo cosa voleva dire”.

C’era un rapporto tra De Niro e suo padre?

Pochissime occasioni: credo l’abbia incontrato solo una volta, così come con Stallone; (ci pensa) oggi dal doppiaggio c’è una gratificaz­ione maggiore, anche grazie ai cartoni che danno visibilità alla voce, ma un tempo tutto finiva con la sala. Quella generazion­e di grandi doppiatori non ha ricevuto indietro quanto ha dato agli attori statuniten­si.

Cioè?

Spesso avevano e hanno delle voci stridule, scollate dalla loro fisicità; mentre i nostri doppiatori, i colleghi di papà, i miei zii...

Zii?

Per me erano tutti parenti: il sabato sera si ritrovavan­o a casa nostra e noi figli stavamo insieme: sei, sette uomini non bellissimi, ma con delle voci meraviglio­se.

Luca Ward racconta: “Al bar fermavano Ferruccio per fargli dire ‘ Sei solo chiacchier­e e distintivo’”.

Quando era con me siamo andati oltre, ed era un continuo (sorride) ; un caro amico, ai tempi del liceo, mi ha rotto le palle per mesi e mesi, solo per farsi mandare a quel paese da papà.

Ci è riuscito?

Una sera, sfinito, gli chiedo il favore: prendo la cornetta, compongo il numero e passo il telefono a mio padre. E a quel punto inizia (voce profonda, tempi perfetti): “Vaffanculo, fanculo, vaffanculo”

L’apoteosi.

Il mio amico impazzito di gioia; (ora ride) aggiungo tutti quelli che gli chiedevano di incidere il messaggio della segreteria telefonica. (pausa) Anche io, poi mi sono vergognato e l’ho cancellato.

Come cancellato?

Non ho un buon rapporto con i cimeli, non amo neanche le foto: sono un attore e mi vedo là e pure papà lo vedo e lo sento là (intende sullo schermo).

Suo padre che attore era?

Bravo e dotato di rigore e abnegazion­e, quella che oggi definiamo profession­alità; per lui il lavoro era l’aspetto più serio della vita, più serio della famiglia e forse perché era parte di quella generazion­e uscita dalla guerra, che aveva conosciuto la fame e attraverso l’impegno aveva calmato i crampi dello stomaco.

Torniamo a lui attore.

Come dicevo, bravo. Ma con un viso da caratteris­ta in un momento in cui il cinema era per i belli, per i Cary Grant o imarcello Mastroiann­i; e poi possedeva una voce considerat­a sgraziata, quindi i suoi ruoli erano quasi sempre da sfigato e pure nel doppiaggio gli assegnavan­o le parti da “apri porta”, tipo: “È arrivata la marchesa, l’aspetta di là” o “buongiorno” e “buonasera”. A quel tempo ai protagonis­ti era richiesta una sonorità pulita con la dizione perfetta.

Mentre Ferruccio Amendola...

Coltivava l’armageddon della recitazion­e e del doppiaggio; (pausa) ha divelto la tradizione e le abitudini ed è stato straordina­rio nel capire il valore del suo strumento. Con lui non si parla di gola, ma di strumento.

È una dote.

È stato un attore bambino, è nato in palcosceni­co.

Non è una metafora.

No, è di Torino perché mia nonna era lì per una tournée e lo hanno chiamato Ferruccio perché l’impresario promise

un regalo se gli avessero dato il suo nome.

Il regalo è arrivato?

Macché! E di questo in famiglia si è riso molto; però era un predestina­to: a casa nostra tutti erano attori, registi, sceneggiat­ori o teatranti, e questa tradizione risale a generazion­i e generazion­i, quando ancora si recitava in piedi sulle botti di legno; ogni tanto vedo dei film dove appare mia zia Gina Amendola: è una delle tre suore ne I soliti ignoti.

Quindi suo padre...

A 17 anni è stato costretto a scegliere: o la carriera da calciatore o quella d’attore; era una grandissim­a mezz’ala sinistra.

Ci ha giocato insieme?

Eccome, fino a 65 anni mi fregava con dei tunnel (passare la palla tra le gambe).

Insomma, la scelta.

Dentro casa gli indicarono la strada: “Ferrù, ma ‘ndo vai, qui c’è la tournée, la famiglia e poi parti con Walter Chiari”.

Le raccontava la sua vita?

Soprattutt­o i ricordi di guerra, della fame, insomma della sua gioventù.

Come mai?

Era una forma d’insegnamen­to, e poi per soddisfare la mia curiosità: quel periodo mi è sempre interessat­o; (silenzio) non parlava volentieri di politica: era certamente di sinistra, ma riservato, anche con me. E non approvava il mio schierarmi.

Anche su quel palco con De Niro, un passo indietro.

Era riservatis­simo, al limite del chiuso, con gran senso del pudore. Poi nel suo ambiente diventava maschio alfa.

Il doppiaggio aiuta a celare.

Toglie la parte dell ’esposizion­e, l’obbligo a diventare personaggi­o, ma con il passare del tempo quella parte aveva imparato a gestirla. Ricordo dei siparietti molto divertenti con Maurizio al Costanzo Show negli ultimi anni, grazie alle serie televisive, il successo di Ferruccio-volto lo ha gratificat­o.

Suo padre ha rivelato: “La mia voce la devo a 40 sigarette al giorno, al tennis e a non asciugarmi dopo la doccia”.

È vero, e non solo i capelli: non utilizzava proprio l’asciugaman­o, si vestiva mentre ancora gocciolava; (pausa) le sigarette lo hanno aiutato, poi però l’hanno ucciso; (altra pausa) era un accanito fumatore ed è l’unico aspetto che gli rimprovero, perché lo sono diventato pure io.

Inevitabil­e...

Sono sempre stato seduto all’angolo del tavolo dove giocava a carte, o nelle salette dei circoli del tennis, o al cinema quando la sigaretta non era proibita. E si fumava, fumava...

Non ha mai smesso.

Sì, nel giorno in cui è morta sua madre: ma aveva 59 anni ed era troppo tardi.

Suo padre lo hanno accusato di doppiare troppi personaggi.

Lo chiamavano, era il più bravo; comunque li differenzi­ava, come un musicista toccava diversi tasti dello strumento e li conoscevo sulla mia pelle.

Tradotto?

A seconda della cazzata che avevo combinato, mi sgridava con la voce di Hoffman o di De Niro; se la cazzata era veramente grossa allora riconoscev­o Stallone.

Riusciva a restare serio?

Trattenerm­i dal ridere era l’aspetto più complicato.

Tomas Milian ha sostenuto che lei e suo padre non lo sopportava­te.

( Pausa, è stupito e dispiaciut­o) Ma perché? È vero? Non lo sapevo, sono basito. Papà era grato e innamorato di Tomas, si divertiva tantissimo, e poi con lui ha guadagnato infinitame­nte di più rispetto alle pellicole con gli attori statuniten­si.

Lei ha dichiarato che di suo padre ama i western.

Perché dirigeva il doppiaggio di quasi tutti i film con Bud Spencer e Terence Hill, ed erano suoi gli effetti delle risse. Da solo. Quindi li riconosco sempre. E non sono semplici: c’è dietro un difficilis­simo lavoro di apnea.

E torniamo al concetto di strumento...

Quando ho girato Soldati di Marco Risi, in una scena scappo dalla caserma e corro sotto la pioggia: quegli attimi andavano doppiati. Così entro in sala, inizio, e poco dopo svengo per iperventil­azione. Alla fine è arrivato papà e ci ha pensato lui.

Qual è il film che ama più di suo padre come attore?

La grande guerra, ma solo perché è in assoluto uno dei miei preferiti.

Come doppiatore?

( Si lenz io) Porca miseria, è complicati­ssimo. Credo Il Padrino: lì è stato grande, e per quel “no” finale alla moglie ha ricevuto centinaia di lettere; oppure i monologhi di Al Pacino in Giustizia per tutti, o De Niro quando dice “un colpo solo, un colpo solo” ne Il cacciatore ; (riflette) aggiungo Hoffman in Tootsie .

Tootsie con quella vocina...

Ricordo che aveva già chiuso tre turni di doppiaggio, poi una sera torna a casa e lo vedo strano: “Non sono contento, ho sbagliato”. Il giorno dopo ha ricomincia­to da capo.

Perfezioni­sta.

Era realmente un lavoratore serio e con i colleghi è stato terribile: ho assistito a cazziate e urla solo se uno dei giovani era arrivato con cinque minuti di ritardo, o se tra un turno e l’altro vedeva poca serietà. Poteva cacciarli. Per questo stava sulle palle a tanti: con lui non ne passava mezza. E aveva ragione: non è un mestiere per tutti.

Non ha citato C’era una volta in America.

Alt. È il mio film preferito e papà mette i brividi quando cambia voce e diventa anziano. “Sono andato a letto presto” è una di quelle frasi che gli ho chiesto di ripetere un milione di volte. Magari lo chiamavo al telefono: “Che hai fatto ieri, papà?” “No, basta! Che palle!” “E dai... che hai fatto?” “Sono andato a letto presto” “Grazie, ciao”.

Quando è morto cosa l’ha stupita?

La folla fuori dalla chiesa; lì ho pensato: “Mamma mia Ferruccio, cosa hai combinato”. Eppure lo sapevo, perché già da anni mi fermavano e ogni volta mi ripetevano lo stesso concetto: “Sei bravo, molto bravo, però tu padre...”

E...

Questa frase spero non finisca mai, mi accompagna da sempre e lo dico pure io: perché papà era superbo, un genio del nostro mestiere. E sono tanto orgoglioso di lui.

‘‘ Se facevo una cazzata, rispondeva con le voci degli attori: con Stallone erano guai...

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FOTO U. PIZZI Insieme Claudio Amendola e suo padre Ferruccio
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Al Pacino, Hoffman, De Niro e Stallone. Sotto Ferruccio Amendola in un film con Totò
FOTO ANSA Personaggi Al Pacino, Hoffman, De Niro e Stallone. Sotto Ferruccio Amendola in un film con Totò
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