Quintino Sella e l’importanza di salire in cima
All ’ indomani dell’unità nazionale, nel 1861, Massimo d’azeglio auspicò che, dopo avere fatto l’italia, si facessero gli italiani. Anche il biellese Quintino Sella (1827-1884), futuro ministro delle Finanze del Regno e capo della destra storica, la pensava così. Definito da Antonio Gramsci “uno dei pochi borghesi, tecnicamente industriali, che partecipano in prima fila alla formazione dello Stato moderno in Italia”, l’uomo politico piemontese riteneva che anche con le scalate alpinistiche si potesse forgiare il carattere dei nuovi connazionali.
C’È UNA DATA importante per le sue convinzioni. È quella del 12 agosto 1863, quando fu alla guida della comitiva italiana, composta da Paolo e Giacinto Ballada di Saint-robert e dal deputato calabrese Giovanni Baracco, che salì il Monviso.
Nel resoconto della spedizione, pubblicato sul quotidiano torinese L’opinione sotto forma di una lunga lettera a Bartolomeo Gastaldi, segretario della Scuola per gli ingegneri, non solo si soffermava sull’idea di dare vita al Club alpino italiano, ma metteva in evidenza l’importanza nazionale della scalata: “Carissimo amico, Siamo riusciti; ed una comitiva d’italiani è finalmente salita sul Monviso!”. E aggiungeva: “Ei mi pare che non ci debba voler molto per indurre i nostri giovani, che seppero d’un tratto passare dalle mollezze del lusso alla vita del soldato, a dar di piglio al bastone ferrato, ed a procurarsi la maschia soddisfazione di solcare in varie direzioni e sino alle più alte cime queste meravigliose Alpi, che ogni popolo ci invidia. Col crescere di questo gusto crescerà pure l’amore per lo studio delle scienze naturali, e non ci occorrerà più di veder le cose nostre talvolta studiate più dagli stranieri, che non dagli italiani”.
Odiato dalle classe popolari per la sua tassa sul macinato, ma anche, come annotò Piero Gobetti, “la mente più lucida della politica italiana” con il conte di Cavour e Stefano Jacini, il Sella delle montagne, della tecnica, della scienza, e della parità di bilancio dello Stato, del rigore, dell’onestà, viene restituito ai lettori di oggi grazie a un libro curato da Pietro Crivellaro, storico della montagna e alpinista, a lungo responsabile del Centro Studi del Teatro Stabile di Torino. Si tratta di Quintino Sella, lo statista con gli scarponi. L’invenzione del Cai, pubblicato dal Club alpino italiano. Un volume, ricco anche di immagini, che attraverso lettere e carte poco note, o dimenticate, intreccia l’a mo re per la montagna con la sua opera politica e culturale tesa a “fare gli italiani”.
“L’italia è appena stata unific at a ”, scrive Crivellaro, ricostruendo l’ascesa al Monviso e la fondazione del CAI, “anche pagando il prezzo della cessione alla Francia della contea di Nizza e di tutta la Savoia, con la Valle di Chamonix e il versante del Monte Bianco più frequentato. Così le guide savoiarde, compatrioti dei piemontesi fino a tre anni prima, ora sono sudditi di Napoleone III, sono diventati stranieri”. Il “fervore del Risorgimento e l’identità nazionale sono questioni nevralgiche ancora molto calde, perciò non c’è da stupirsi che Sella non voglia temporeggiare e preferisca rinunciare alle guide che hanno condotto alla vittoria gli inglesi". Non è il caso, però, sottolinea Crivellaro, “di tirare in ballo il nazionalismo. Al politico biellese preme soprattutto non lasciarsi sfuggire l’occasione di agire per risollevare la reputazione dell’italia con un successo eclatante. Solo così si potrà dare il buon esempio ai connazionali e guadagnare credito agli occhi degli stranieri”.
SELLA ERA IL POLITICO al quale il grande storico Theodor Mommsen domandò con quale idea l’italia, nel 1870, facesse di Roma la capitale del Paese. Il ministro gli rispose: “Con l’idea della scienza”. Lo scalatore del Monviso, ricordava Gramsci, “si differenzia in modo notevolissimo dal rimanente personale politico del suo tempo”. Ha “una vasta cultura umanistica, oltre che tecnica; è uomo di forti convinzioni morali”. In occasione di un brindisi al banchetto del VII congresso del Cai, a Torino, il 10 agosto 1874, disse: “Nelle montagne troverete il coraggio per sfidare i pericoli, ma vi imparerete pure la prudenza e la previdenza onde superarli con incolumità. Uomini impavidi vi farete, il che non vuol dire imprudenti ed imprevidenti. Ha gran valore un uomo che sa esporre la propria vita, e pure esponendola sa circondarsi di tutte le ragionevoli cautele. Stupenda scuola di costanza sono poi le Alpi. I momentanei slanci non vi bastano per riuscire. Vuolsi saper durare, perdurare e soffrire”.
1863: il Club alpino italiano nasce con la spedizione sul Monviso guidata dal politico (e alpinista) piemontese. La sua idea: il carattere italico forgiato dalle fatiche in vetta