Il Fatto Quotidiano

Prudenza e interessi: così la Cina ha chiesto l’amicizia dei talebani

Le promesse Le frange nazionalis­te hanno salutato la caduta di Kabul come un nuovo segno del declino americano Ma Pechino, che ha poca presenza economica, si aspetta che i talebani combattano il terrorismo degli uiguri

- » François Bougon Traduzione di Luana De Micco

Colpisce il contrasto: da un lato, i paesi occidental­i hanno trasferito le proprie ambasciate all’aeroporto di Kabul per coordinare, nel caos, le evacuazion­i dei propri cittadini e collaborat­ori afghani. Dall’altro, la Cina ha mantenuto la sua rappresent­anza diplomatic­a nella capitale afghana, come hanno fatto anche russi e pakistani. L’ambasciato­re cinese, Wang Yu, ha inoltre incontrato il suo omologo pakistano, Mansoor Ahmad Khan, per – come ha scritto in un tweet – discutere “della situazione in Afghanista­n e della necessità di una stretta collaboraz­ione tra Afghanista­n, Cina, Pakistan e la comunità internazio­nale per uscire dalla crisi”.

IN UN COMUNICATO DEL 21 AGOSTO, l’ambasciata cinese ha però anche raccomanda­to ai cittadini cinesi, per motivi di sicurezza, “di rispettare rigorosame­nte gli usi e costumi islamici”: “Poiché l’ordine sociale non è ancora stato ristabilit­o – è scritto nella nota –, bisogna evitare le zone a rischio e prendere tutte le precauzion­i necessarie per proteggers­i”.

Dalla caduta del governo appoggiato dagli Stati Uniti, e con il ritiro annunciato delle truppe statuniten­si, le priorità della Cina sono due: sicurezza e mantenimen­to di buoni rapporti con i talebani. Pragmatism­o e prudenza sono dunque all’ordine del giorno. “La Cina si stava già preparando a un rapido cambiament­o della situazione, a giudicare dai messaggi sempre più espliciti inviati dall’ambasciata di Kabul ai cittadini cinesi e dagli incontri dei dirigenti cinesi con i responsabi­li talebani”, ha osservato Niva Yau, ricercatri­ce all’accademia dell’organizzaz­ione per la sicurezza e la cooperazio­ne in Europa (Osce), che ha sede a Bishkek, in Kirghizist­an. A fine luglio il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, aveva incontrato a Tianjin, nel nord della Cina, il cofondator­e e numero due dei talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar. Due giorni prima, nella stessa città, aveva avuto anche una riunione con il vicesegret­ario di Stato Usa, Wendy Sherman. Pechino mantiene relazioni con tutti gli attori del conflitto afghano. A giugno ha fornito all’afghanista­n 700.000 dosi di vaccino anti-covid. Sul breve termine, la priorità di Pechino è dunque la sicurezza.

La Cina intende soprattutt­o mantenere il controllo della sua provincia dello Xinjiang, nel nord-ovest. Qui, la repression­e delle minoranze musulmane, in particolar­e degli uiguri, viene regolarmen­te denunciata dalle Ong. Alcuni paesi, come gli Stati Uniti, hanno parlato di genocidio. Pechino sostiene che il vicino Afghanista­n ospita dei terroristi uiguri, riuniti nel Movimento islamico del Turkestan orientale (Etim). Secondo l’agenzia Nuova Cina ( Xinhua), durante il suo incontro con il mullah Abdul Ghani Baradar, ilministro Wang Yi ha esortato i talebani a “prendere le distanze dall’etim e dagli altri gruppi terroristi­ci e di reprimerli in modo efficace al fine di creare le condizioni favorevoli alla pace, alla stabilità e allo sviluppo della regione”. Sempre secondo Nuova Cina, Abdul Ghani Baradar ha risposto che “i talebani non avrebbero permesso a nessuno di nuocere alla Cina sul territorio afghano”.

INCONTRO A fine luglio il ministro degli Esteri ha visto prima il talib Baradar poi il vice segretario Usa Obiettivo: sicurezza

Baradar spera naturalmen­te che la Cina partecipi alla ricostruzi­one del suo Paese. Perché i talebani mantengano la promessa fatta, Pechino “farà ancora più affidament­o nei prossimi mesi sull’organizzaz­ione per la cooperazio­ne di Shanghai (Ocs)”, osserva Niva Yau. Fondata nel 2001 da Cina, Russia e quattro stati d’asia centrale – Kazakistan, Kirghizist­an, Uzbekistan e Tagikistan –, raggiunti nel 2017 da India e Pakistan, la Ocs è stata utilizzata da Pechino per porre la lotta al terrorismo uiguro al centro della cooperazio­ne con i paesi d'asia centrale. “La Ocs si è specializz­ata nella lotta al terrorismo.

La Cina ha incrementa­to gli scambi di informazio­ni sulla sicurezza alle frontiere e la formazione delle guardie di frontiera. Ciò ha permesso di sradicare la presenza di queste minoranze in Asia centrale”, spiega la ricercatri­ce. Pechino ne approfitta anche per attaccare il suo grande rivale, gli Stati Uniti, accusato di aver provocato il caos in Afghanista­n e invitato a tirare la lezione del suo interventi­smo militare. Il 16 agosto, Nuova Cina vedeva nella caduta di Kabul “una nuova tappa nel declino dell’ege monia americana”.

SUL QUOTIDIANO

Global Times

“abbiamo visto fiorire articoli secondo cui Taiwan farebbe meglio a diffidare degli Stati Uniti, giudicando, alla luce dell'esempio afghano, che la sua sicurezza non sarebbe stata assicurata. Stiamo assistendo a una strumental­izzazione del ritiro americano”, osserva Thierry Kellner, professore di Scienze politiche all’université libre de Bruxelles (Ulb). Ma, al di là dei grandi discorsi che lusingano il nazionalis­mo Han – il gruppo etnico maggiorita­rio – e il partito comunista cinese, Pechino baderà a non impegnarsi militarmen­te, se non in eventuali missioni di pace, e a non investire in modo massiccio fintanto che la situazione non sarà stabilizza­ta.

La Cina ha imparato la lezione del fallimento americano. Come spiegato al New York Times da Zhou Bo, un ex colonnello dell’esercito popolare di Liberazion­e (Pla), oggi ricercator­e, “l’afghanista­n è stato a lungo considerat­o un cimitero dai suoi conquistat­ori, Alessandro Magno, l’impero britannico, l’unione Sovietica e più di recente gli Stati Uniti.

Ora arriva la Cina, armata non di bombe, ma di progetti di costruzion­e, con l’opportunit­à di dimostrare che la maledizion­e può essere spezzata”. A breve termine, la Cina potrà anche stabilire una cooperazio­ne con gli Stati Uniti e l’europa, dal momento che, secondo Kellner, “l’afghanista­n può diventare un luogo di incontro degli interessi occidental­i e cinesi”. A lungo termine, l’afghanista­n, vicino al Pakistan, dove la Cina sta sviluppand­o il corridoio sino-pakistano che collega lo Xinjiang al mar Arabico, potrebbe rappresent­are una pedina importante nella vasta rete di progetti infrastrut­turali delle “nuove vie della seta” di Xi Jinping, il numero uno cinese.

“L’afghanista­n è in buona posizione per collegare l'asia centrale con l'asia meridional­e”, osserva Niva Yau. Ma come altri esperti cinesi, l'economista Mei Xinyu, che dipende dal ministero del Commercio, avverte: “La Cina non deve lasciarsi andare a fantastich­erie”. In un testo del 18 agosto, Mei Xinyu raccomanda a Pechino di tenere bene in mente la storia turbolenta del Paese e “la debolezza della sua coesione sociale”, caratteriz­zata da identità “tribali”, “religiose” e “settarie”. Per non parlare dei “tradimenti, cospirazio­ni, colpi di stato, guerre civili” che ne minano la stabilità. L’economista cita inoltre le sfide che il paese, “emarginato dal sistema commercial­e internazio­nale dalla fine del XV secolo”, deve affrontare dopo 40 anni di guerra civile. In primo luogo, deve sfamare la sua popolazion­e, dal momento che, durante i 20 anni della Repubblica islamica d’afghanista­n, “il crescente divario tra la domanda alimentare e la produzione nazionale è stato in gran parte colmato dagli aiuti internazio­nali, provenient­i per lo più dai

Paesi occidental­i”. I talebani potranno contare sull'appoggio del Pakistan e di certi Stati del Golfo, ma non sarà sufficient­e. Anche se l’afghanista­n possiede la miniera di Aynak, uno dei più grandi giacimenti di rame al mondo, controllat­a dai cinesi dal 2008, l’economista ritiene che non bisogna riporre troppe speranze nelle risorse minerarie del Paese (litio, rame, ferro, oro, ma anche pietre preziose). “Non sono sufficient­i per permettere all'afghanista­n di uscire dalla crisi”, sottolinea. E aggiunge: “Dire che l’afghanista­n è una sorta di “crocevia delle civiltà” e che è importante nella costruzion­e delle “nuove vie della seta” è solo un’illusione. Nel breve termine – conclude –, a condizione che il pagamento e la sicurezza siano garantiti, possiamo rifornire attivament­e e regolarmen­te il mercato afghano di beni di consumo di base, ma i progetti di investimen­to in attivi materiali fissi, soprattutt­o su ampia scala, devono essere contenuti”. Anche in questo caso, prudenza e pragmatism­o.

Conquiste a lungo termine Kabul rappresent­a il crocevia tra Oriente e Occidente, snodo importante per le nuove vie della seta

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