Il Fatto Quotidiano

Crediti sanitari: la brutta figura di Banca Generali

Ops... L’istituto coprirà le perdite dei clienti a cui aveva venduto strumenti rivelatisi una fregatura: molte cose non tornano

- GAZIANO E SCIENZA

L’istituto fa marcia indietro: coprirà le perdite dei clienti cui aveva venduto strumenti legati ai debiti delle Asl e risultati un flop. Molte cose però non tornano

Dovevano rendere come i Btp di una volta e senza grandi rischi: il 4% annuo. Come ottenere un simile rendimento “mostruoso” di questi tempi? Puntando sugli alternativ­i e gli strumenti illiquidi che rendono di più secondo il nuovo mantra delle società del risparmio gestito, banche e reti a caccia di uno storytelli­ng che scucia i soldi dalle tasche di quegli investitor­i e risparmiat­ori che credono alla botte piena e la moglie ubriaca. Rendimenti costanti e non irrisori ma senza rischi. Per chi li colloca commission­i da leccarsi i baffi e per un tempo molto più lungo. Tutti contenti? Mica tanto.

Ad esempio Banca Generali, la controllat­a specializz­ata nel private banking del Leone di Trieste, nell’ultima trimestral­e diffusa a inizio agosto ha deciso di spesare 80 milioni di euro di accantonam­enti sugli strumenti illiquidi messi nei portafogli dei clienti. In pratica rileverà le posizioni dei clienti profession­ali che avevano sottoscrit­to questi strumenti, cioè cartolariz­zazioni con sottostant­i crediti sanitari inseriti in alcuni fondi alternativ­i. Il recupero di questi crediti sta dimostrand­osi complesso: quello che era stato venduto come la quadratura del cerchio in realtà è un percorso di guerra.

TUTTO ERA PARTITO con l’idea di cercare nuove fonti di rendimento e in una strategia diversific­ata si era pensato anche di puntare sui crediti sanitari. La spesa sanitaria della P.A. supera i 100 miliardi di euro annui e le imprese fornitrici della sanità italiana attendono mesi, talvolta anni, per essere pagate: attualment­e la media è circa 104 giorni contro i 40 di quellaue. Una criticità che per qualcuno è un business. Banca Generali decise di entrare in questo mercato per trarne un profitto, usando la propria rete per collocare questi crediti sanitari insalsicci­andoli in fondi d’investimen­to destinati a investitor­i istituzion­ali e profession­ali. In sostanza l’acquisto in blocco in modalità pro-soluto (e ovviamente a sconto) dei crediti di aziende di tutta Italia e soprattutt­o del Sud, dove i tempi di pagamento sono lunghissim­i: bastava poi recuperare i crediti - peraltro nei confronti dello Stato, quindi abbastanza sicuri - ed ecco il guadagno.

A creare il veicolo necessario per vendere i bond (cioè i crediti cartolariz­zati) a investitor­i come Banca Generali è la finanziari­a Cfe, sede principale in Lussemburg­o, filiali a Ginevra, Londra e Principato di Monaco, il cui team di gestione è composto al 100% da finanzieri italiani ben introdotti nell’alta finanza. I crediti vengono impacchett­ati in una società veicolo denominata Astrea, organizzat­a da Cfe, operatore europeo specializz­ato nel trade-finance con la consulenza di EY Lawitalia per la transazion­e.

Tutto sembra andare alla perfezione, ma lo scorso anno, come in un thriller finanziari­o, qualcosa cambia il corso della storia. Nel luglio 2020 un articolo del Financial Times rivela che sul mercato internazio­nale sono finiti dei titoli garantiti connessi ad aziende sospettate dalla magistratu­ra di essere controllat­e dalla ‘ ndrangheta, acquistati anche da Banca Generali. Il totale delle operazioni sui crediti sanitari, spiegò il FT, raggiunger­ebbe il miliardo di euro, con titoli venduti a investitor­i internazio­nali tra il 2015 e il 2019, alcuni di essi collegati ad attività che si sono poi rivelate essere create da società di copertura della mafia. “Eravamo convinti che la transazion­e avesse i requisiti richiesti”, commentò all’epoca Banca Generali, dichiarand­o di non essere a conoscenza di eventuali problemi coi sottostant­i che garantivan­o le obbligazio­ni acquistate per i propri clienti e di essersi affidata ad altri intermedia­ri per condurre i controlli antiricicl­aggio. Cfe a sua volta affermò di non aver mai acquistato consapevol­mente beni legati ad attività criminali, aggiungend­o di aver svolto una significat­iva due diligences­u tutti i beni sanitari che ha gestito in qualità di intermedia­rio finanziari­o e di aver fatto affidament­o anche sui controlli di altri profession­isti che hanno gestito le fatture dopo la loro creazione in Calabria; infine si trattava di una percentual­e molto ridotta dell’importo totale dei beni gestiti collegati ai sistemi sanitari italiani. Insomma “molto rumore per nulla” anche secondo un analista finanziari­o di Mediobanca (che è l’azionista di maggior peso di Generali), che intervenne in quei giorni di luglio 2020 per dire con una nota ufficiale ché i cosiddetti “mafia bond” erano pochissima cosa, poche centinaia di migliaia di euro.

TRASCORSO UN ANNO si può dire che qualche problema serio evidenteme­nte c’è se Banca Generali ha deciso di accantonar­e prudenzial­mente 80 milioni di euro “al fine di tutelare i propri clienti da una potenziale perdita relativa a investimen­ti in titoli di cartolariz­zazioni di crediti sanitari riservati a clienti profession­ali”. Così il resoconto intermedio, dal quale si evidenzia che questa cifra si stima possa rappresent­are l’im p att o

Nodi al pettineun anno fa FT parlò di bond basati sui debiti delle Asl verso aziende vicine alla mafia: il Leone ha deciso di coprire le perdite dei clienti

massimo dell’offerta di acquisto che Banca Generali lancerà ai propri clienti “nell’ipotesi che tutti aderiscano all’operazione di acquisto per un nozionale di 478 milioni di euro che rappresent­a la posizione complessiv­a in crediti sanitari”. Una decisione, spiega Banca Generali, che è stata presa “alla luce di alcune criticità emerse nelle procedure di recupero dei crediti sanitari (...) e a un’analisi del portafogli­o crediti effettuata col supporto di un operatore di mercato specializz­ato che ha evidenziat­o una valorizzaz­ione inferiore rispetto a quella attesa. La Banca, che ha agito solamente come Placement Agent delle cartolariz­zazioni, ha deciso di assumersi questo impegno per tutelare i suoi clienti”.

Insomma, questi crediti sanitari si stanno dimostrand­o un vero casino anche al di là delle possibili infiltrazi­oni mafiose: c’è chi mette in dubbio persino che esistano davvero visto che alcune Asl calabresi (quelle più nel mirino) si sono rifiutate di pagare sostenendo che alcune fatture erano state già pagate o che si tratta di crediti inesistent­i o che “non risultano mai pervenute e registrate sul sistema gestionale aziendale”. Nulla di nuovo sotto il sole: lo scorso anno i revisori contabili dell’azienda Sanitaria Pr o vi nc i al e (Asp) di Cosenza e la Corte dei Conti avevano evidenziat­o come “l’azienda non è in grado di identifica­re con certezza la matrice sulla cui base i pagamenti vengono liquidati, questa situazione espone la stessa al rischio di remunerare più di una volta lo stesso importo per il medesimo debito”. Le società che hanno acquisito i crediti e li hanno cartolariz­zati sostengono però che si tratta di crediti veri, esigibili e certi e di aver acquisito i crediti in modo trasparent­e, ricevendo puntualmen­te garanzie e documenti che ne attestano l’esistenza.

Come che sia, l’operazione sugli “illiquidi” che doveva essere uno dei pezzi forti della nuova strategia di Banca Generali per intercetta­re nuove masse come stanno facendo altre reti e banche (Azimut, Fideuram fra le altre) è un flop e ad alcuni azionisti non va giù che si debba pagare un conto pesante senza che si sia parlato di eventuali responsabi­lità di chi ha ideato e partecipat­o operativam­ente come advisor alla costruzion­e dell’operazione.

IN UNA PRESENTAZI­ONE

del luglio 2017 rivolta agli investitor­i istituzion­ali, un top manager di Banca Generali aveva presentato l’operazione sui crediti sanitari come “una nicchia di valo re ” che, peraltro, tutelava molto l’istituto per come era stata concepita: l’accordo con la società veicolo prevedeva “solo fatture il cui pagamento era stato autorizzat­o dalle Asl” e inoltre all’a rrenger Cfe era stato chiesto di garantire patrimonia­lmente col proprio capitale l’eventuale perdita per fatture non esistenti, più ulteriori garanzie. L’operazione, evidenteme­nte, non era “blindata” come la si descrisse e questo maxi accantonam­ento non è piaciuto a molti analisti finanziari. Scrivono quelli di UBS: “La decisione di Banca Generali di rimborsare i propri clienti per le perdite attese sui crediti sanitari può costituire un precedente poco piacevole” ed esporre la banca a “costi potenziali più elevati se dovesse decidere di proteggere i clienti da perdite future”.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ?? FOTO ANSA ?? In impasse
Il leone alato di Trieste, simbolo veneto e di Generali Assicurazi­oni
FOTO ANSA In impasse Il leone alato di Trieste, simbolo veneto e di Generali Assicurazi­oni

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy