Il Fatto Quotidiano

“Vittima dei clan, voglio diventare sindaca di Napoli”

Alessandra Clemente Candidata sindaco a Napoli

- » Antonello Caporale

La figlia di una vittima della camorra, candidata a sindaco di Napoli, chiama a capeggiare la sua lista il figlio obiettore di un boss della Torretta, l’enclave criminale di Mergellina.

“Ci accomuna la violenza che abbiamo patìto. Io ho visto morire mamma, Silvia Ruotolo, una donna senza colpa, lui si è ribellato al destino che vuole un figlio di un gangster divenire, per via ereditaria, un gangster”. Alessandra Clemente e Antonio Piccirillo, trentaquat­tro anni lei, venticinqu­e lui, sono i figli bellissimi di Napoli. Lei, assessore delle varie giunte di De Magistris, oggi è impegnata in una corsa solitaria per palazzo San Giacomo, il municipio della città. Lui, dopo aver disonorato il padre disconosce­ndo l’etica criminale, combatte con l’as s oc i az i on e Antigone contro il destino che vorrebbe pregiudica­ti i figli di pregiudica­ti. Alessandra, per dileggiart­i dicono che l’unica nota del tuo curriculum è di essere orfana.

Fino a non troppi anni fa provavo vergogna per quel che mi era capitato, la vergogna è sorella della colpa. E quasi incolpavo mia madre di essere caduta sotto i colpi della camorra senza averne titolo, senza una ragione giusta, senza un motivo comprensib­ile: non era poliziotta, non era magistrato, non era impegnata nella lotta ai clan. Era morta per uno sbaglio, per un proiettile vagante.

Uno dei trenta colpi sparati dalle gang la raggiunse sotto casa, nel quartiere dell’arenella , mentre rincasava con il tuo fratellino. Avevi dieci anni ed eri affacciata al balcone.

La colpa di essere figlia e testimone di quello scempio, la colpa di essere inseguita dalle parole di compatimen­to o anche dalle domande insinuanti o solo banalmente malevoli. Una dimensione che mi travolgeva, come se mamma fosse stata impreviden­te a trovarsi in quel posto a quell’ora. E la mia colpa di essere rimasta sola, di vivere immersa in un ricordo perpetuo, marmoreo.

La politica ti ha salvata? Sì. La chiamata in giunta da parte di Demagistri­s è stato un momento così tramautico e perdutamen­te elettrizza­nte, mi ha dato il piacere di guardare al futuro, di costruire il futuro.

Al punto che ora sei candidata a sindaco con un gruppo di liste di sinistra (Potere al popolo, Partito comunista, liste civiche). Sai che non vincerai?

Per vincere devi mostrare di avere il coraggio di perdere. E poi un momento, prego: in consiglio comunale sono entrata con cinquemila preferenze. Poche decine in meno di quelle di Mara Carfagna. Quindi qualcosa si è mosso. Chiamare a lottare con te, vittima della camorra,

‘‘ Un proiettile vagante ha ucciso mia madre sotto i miei occhi

il figlio di un boss della camorra non rischia di teatralizz­are la dimensione criminale della città?

Mi stai chiedendo se forse mi accuserann­o di essere anch’io una di quelli che definiscon­o “profession­isti dell’antimafia”?

Ci può essere questo rischio.

Finora mi hanno accusata di essere orfana. Sai perché non mi offendo, non me la prendo? Perché il mio volto è pulito, le cose che faccio sono trasparent­i. Come quella di aver scelto di farmi accompagna­re in queste elezioni dal figlio di un boss che ha combattuto a viso aperto la camorra, che è impegnato in progetti di solidariet­à. La politica ti fa fare anche bellissime cose.

Per esempio?

Vedere un asilo o un centro per giovani, anche piccolo, anche provvisori­o, che sei riuscita a realizzare ti apre il cuore. Amministra­re, anche nel caos di una città come questa, mi dà gioia, mi fa sentire utile, mi concede un’esperienza speciale. Un marciapied­e, un albero, una gara d’appalto fatta con limpidezza sono risultati meraviglio­si. Mica ci sono solo le “stese” dei camorristi a travolgere il senso del bene comune? La corruzione quanto male fa? E quanto bene fa la trasparenz­a, la sincerità?

Dillo tu.

Anche la gioia, il sorriso. Io sono felice. Punto.

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FOTO ANSA Il riscatto Alessandra Clemente e i quartieri spagnoli a Napoli

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