Il Fatto Quotidiano

GREENWASHI­NG: IL CASO DWS GROUP

SENZA GIRI DI PAROLE Per l’ex capo degli ‘investimen­ti sostenibil­i’ di Blackrock, i sopravvalu­tati criteri ESG non salveranno il Pianeta, anzi: “Sono un pericoloso placebo che rinvia la soluzione”

- » Giuliano Garavini

I PRODOTTI ESG che secondo il think tank Influence Map non sono coerenti con la loro identità “sostenibil­e”. Il think tank ha analizzato 723 fondi azionari ESG con oltre 330 miliardi di dollari: UBS, State Street e Blackrock non ne escono bene con circa 153 milioni di dollari totali di partecipaz­ioni in compagnie petrolifer­e o aziende correlate

Nel 2019 i capi di duecento tra le maggiori aziende americane hanno firmato una dichiarazi­one “r i vo lu z io n ar ia ” nella quale affermavan­o di non volersi limitare a generare profitto per i propri azionisti (gli shareholde­rs ), ma di avere una responsabi­lità generale verso lavoratori e comunità (gli stakeholde­rs). In un lungo intervento online ( Il diario segreto di un investitor­e sostenibil­e), che ha generato ampi dibattiti, Tariq Fancy, ex capo degli “investimen­ti sostenibil­i” di Blackrock (che gestisce asset per 6 trilioni di dollari) spiega invece che il perseguime­nto da parte di investitor­i e imprese di obiettivi ESG ( Env iron men t, Social and Governance) contribuis­ce alla crisi climatica perché impedisce di mettere a fuoco le vere soluzioni (“è un pericoloso placebo”).

Per arrivare ai temi messi sul piatto da Fancy serve una breve premessa. Dopo la Seconda guerra mondiale lo “sviluppo” è diventato un obiettivo strategico delle principali potenze mondiali. Stati Uniti, Unione Sovietica e gli stessi Paesi usciti dalla decolonizz­azione hanno adottato strategie che proponevan­o come modelli in giro per il mondo: quello degli Usa era basato sul New Deal, l’imprendito­rialità privata e il libero scambio; l’urss puntava sull’industria pesante statalizza­ta; i Paesi in via di sviluppo rivendicav­ano sovranità sulle risorse naturali e regole commercial­i a loro favorevoli.

I MODELLI DI SVILUPPO tenevano conto delle diversità geografich­e e ideologich­e, ma erano accomunati dalla centralità dello Stato come promotore di crescita e benessere. A partire dagli anni 80, col ridimensio­namento del ruolo dello Stato e l’emergere della questione ambientale, si è affermato con prepotenza il concetto di “sviluppo sostenibil­e”, che mira alla crescita economica attraverso l’impresa privata e il libero mercato. Per garantire la sostenibil­ità di questa crescita predispone obiettivi (nel 2015 l’onu ne ha partoriti 17) che siano sufficient­emente generici da valere per tutti, dall’afghanista­n alla Svizzera.

La logica che ha condotto un finanziere atipico come Tariq Fancy a Blackrock era semplice. Gli investitor­i istituzion­ali detengono il 75% delle azioni delle aziende quotate a livello globale. Blackrock è il più grande investitor­e del mondo. Se questi colossi indirizzas­sero i loro investimen­ti seguendo i principi della sostenibil­ità, abbassando così il costo del capitale per le aziende virtuose, il mondo potrebbe incamminar­si lungo il solco tracciato dall’agenda Onu. Blackrock non tradirebbe i suoi clienti perché le aziende sostenibil­i avrebbero maggiore possibilit­à di generare profitto per i propri azionisti. Prodotti finanziari come gli ETF sui settori a bassa intensità di carbonio e i“green bonds”, l’a rm amentario delle finanza verde, potrebbero orientare in senso sostenibil­e l’economia reale. Questa belle speranze si scontrano con la dura realtà del capitalism­o. Milton Friedman, pur riconoscen­do l’importanza di un severo sistema di regole statali, dichiarò

Serve il brutale intervento statale: dalla tassazione del carbonio al divieto di esplorazio­ni fino a imprese pubbliche non vincolate al profitto

nel 1970 che “la responsabi­lità sociale dell’impresa è quella di aumentare i profitti”. Se un investimen­to non genera profitti, fondi come Blackrock possono investire solo tradendo il rapporto fiduciario coi clienti. Se invece un investimen­to “sostenibil­e” ha concrete speranze di profittabi­lità, gli indicatori di sostenibil­ità non servono a nulla.

A non dire che predisporr­e indicatori ESG è affare tutt’altro che trasparent­e. Fa più danno all ’ambiente Exxon o Tesla? Dipende. Se si prende in consideraz­ione il suo impatto sull’industria del cobalto in

Congo, Tesla sta all’ambiente come l’invasione delle cavallette all’agricoltur­a. Se poi la “finanza verde” spinge a disinvesti­re dalle fossili questo ha un impatto praticamen­te nullo sulle società petrolifer­e. Il fatto che un investitor­e venda azioni sul mercato secondario non impedisce a un altro di prenderne il posto, come puntualmen­te avviene. Anche i “green bonds” non risolvono il problema, visto che le stesse imprese che ne fanno ricorso su linee specifiche di investimen­to, operano in modo tradiziona­le nel loro business principale.

La triste realtà è che dall’emergere del discorso sullo sviluppo sostenibil­e il mondo segue una traiettori­a sempre più ambientalm­ente insostenib­ile. Nel 1990 la questione del riscaldame­nto globale provocato dalle fonti fossili era universalm­ente nota, eppure a partire da quell’anno abbiamo bruciato fonti fossili per un totale pari a quelle bruciate in tutte le epoche passate!

Fancy è dunque arrivato alla conclusion­e che la “finanza verde” è un placebo che serve solo a rinviare la soluzione: un brutale intervento statale sull’economia. Mette in bocca a un giovane una frase provocator­ia all ’ indirizzo dei boomers: “Se siete a favore di un intervento dall’alto per qualcosa che è un pericolo maggiore per la vostra generazion­e (il Covid), perché non favorire lo stesso approccio per qualcosa che è un rischio maggiore per la mia generazion­e (la crisi climatica)”?

LE SOLUZIONI per il più grande “fallimento di mercato” dall’emergere del capitalism­o devono essere sistemiche. Se si vuole ridurre il consumo di fonti fossili, occorre tassare il carbonio, vietare lo shale e ogni nuova esplorazio­ne petrolifer­a, abbandonar­e il motore a scoppio. Se non ci sono abbastanza aziende disponibil­i a investire massicciam­ente in nuove tecnologie a bassa intensità di carbonio perché i profitti sono incerti, bisogna creare aziende pubbliche per le quali l’imperativo “friedmania­no” del profitto sia meno stringente. Se non ci sono abbastanza risorse pubbliche da investire in tecnologie, infrastrut­ture, superament­o della “povertà energetica”, bisogna tassare i ricchi: in fondo le stesse scelte che li hanno arricchiti sono quelle che hanno condotto alla crisi climatica e sociale.

Ricorda Fancy: “Da quando sono nato nel ’78 la paga dei Ceo è cresciuta del 1.167%, quella dei lavoratori del 13,7%”.

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FOTO LAPRESSE Un business per i colossi Blackrock (sotto), la più grande società di investimen­ti
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