“Canto la donna russa, quella che non si rompe”
MANIZHA Ha rappresentato Mosca all’eurovision: il suo brano è un inno alla libertà contro uno Stato patriarcale che ha depenalizzato la violenza
“Quando ero piccola, nessuno mi diceva che la verità è forza e potere”. È una delle prime frasi che pronuncia, sempre sorridendo sullo schermo, la ragazza scappata dalla guerra civile a Dushanbe, in Tagikistan, dove è nata nel 1991. La cantautrice moscovita Manizha Sangin, che sul palco usa solo il nome con cui ormai tutta la Russia e il blocco ex sovietico la conoscono, ha rappresentato la Federazione all’ultimo Eurovision, una competizione dove Mosca, scrive la Novaya Gazeta, “invia i propri artisti come un soldato in guerra”. La sua canzone, “Russkaya Zhenshina”, in traduzione: “donna russa”, è diventata un inno di libertà per le ragazze di uno Stato patriarcale e tradizionalista, che ha depenalizzato la violenza domestica. Manizha, la sua canzone l’hanno ascoltata tutti: perfino al Cremlino. Il Comitato investigativo russo ha ricevuto una richiesta per bandirla. Un gruppo di veterani ha suggerito di far finire la canzone in tribunale e l’unione ortodossa delle donne russe ha firmato una lettera aperta contro di lei perché “mina il senso della famiglia tradizionale”. Perfino il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, si è espresso su “Donna russa”.
Si, ma le critiche che mi hanno ferito di più sono quelle arrivate dalle femministe. Perfino loro hanno diffuso fake newscontro di me e la mia famiglia. Lei è diventata la prima ambasciatrice Onu per i migranti in Russia, supporta i diritti Lgbt e ha sponsorizzato un’app per denunciare la violenza contro le donne. Sul palco non porta solo la musica, ma anche messaggi di resistenza. E un vestito inusuale. Quell’abito è composto da pezzi di stoffa spediti dalle donne di tutta la Federazione, li ho cuciti insieme per creare un vestito tradizionale russo. Ne esco poi fuori come da un guscio, indossando una tuta della working class, quella che uso anche per la vita di tutti i giorni. È un manifesto: nella vita le donne non devono essere solo sensuali o femminili.
Un abito dentro l’altro, come una matrioska di stereotipi: lei però, in Russia, li ha rotti tutti.
Esco dall’abito e dalla società patriarcale: una metafora della mia liberazione. Rispetto ogni donna, ma non tutte dobbiamo andare in giro con minigonne argentate e inguinali. Sin dalla mia infanzia, questo era l'unico genere di ragazza che vedevo in tv: c'erano Madonna e Britney Spears, ma non vedevo niente che mi assomigliasse, una cosa che può generare complessi. Siamo circondati da stereotipi artificiali.
“Hai 30 anni, dove sono i tuoi figli? Sei grassa, dimagrisci!”. Poi la canzone continua: “Le donne devono sapere che romperanno il muro”. Come ha fatto lei a non andare in pezzi mentre lo buttava giù?
Se dovessi rompermi, le persone che sopportano abusi ogni giorno, che convivono con l'infelicità o la violazione dei loro diritti, diranno “ehi, Manizha si è rotta, mi arrendo anche io”. C'è un’altra rima della canzone che dice: “Cresciuta senza padre, ma comunque non mi rompo”.
Recentemente ho visitato un internat, una casa di accoglienza. Quelle erano parole che tra gli orfani volevo evitare, invece quando sono arrivata lì, mi hanno circondato e hanno iniziato proprio loro a cantarle. Io non ci sono riuscita, ho iniziato a piangere. Gli adulti sono abituati a ingannare, i bambini no. Amano e odiano senza filtri.
A proposito di odio: gliene riversano tanto sui social, ogni giorno. Qualcuno la chiama ancora “la tagika”. Ho vissuto mesi duri in cui provavo panico se guardavo il telefono. Durante una delle ultime esibizioni a Mosca un uomo mi ha urlato “scimmia”. Ma era uno solo e ho pensato alle altre migliaia di persone che non lo hanno sostenuto.
Durante i suoi spettacoli vengono proiettate spesso le tele dell'avanguardista Natal'ya Gancharova.
È stata cacciata da un Paese che non l'ha capita, le dicevano che non sapeva dipingere, la sua epoca non l'ha compresa, la sua patria non l'ha onorata. È stata la Freeda Kalo russa. La prima ad andare in giro in pantaloni. Volevo omaggiare una donna che ha avuto una vita difficile e, anche quando è scappata in Francia, ha continuato ad adorare la cultura russa. Proprio come lei: nonostante non tutta la Federazione tifi per lei, il suo amore per la Russia rimane incondizionato.
Il mio Paese, la Russia, come il resto del mondo, non è ideale, ma non mi unirò al coro di quanti raccontano quanto è cattiva Mosca. Vogliono che tutti vedano la Russia per quel che è: il Paese che con me è stato generoso e mi ha accolto. Io e mia madre siamo arrivate dal Tagikistan senza speranza, senza passaporto e senza soldi, ma la Russia mi ha insegnato a cantare e suonare. Nel mondo contemporaneo, dalla guerre infinite, la cosa più difficile è continuare a rimanere gentili. È un altro modo, per una “donna russa”, di non rompersi.
Siamo circondate da stereotipi Non dobbiamo per forza andare in giro in minigonna