Il Fatto Quotidiano

“Canto la donna russa, quella che non si rompe”

MANIZHA Ha rappresent­ato Mosca all’eurovision: il suo brano è un inno alla libertà contro uno Stato patriarcal­e che ha depenalizz­ato la violenza

- » Michela A.G. Iaccarino

“Quando ero piccola, nessuno mi diceva che la verità è forza e potere”. È una delle prime frasi che pronuncia, sempre sorridendo sullo schermo, la ragazza scappata dalla guerra civile a Dushanbe, in Tagikistan, dove è nata nel 1991. La cantautric­e moscovita Manizha Sangin, che sul palco usa solo il nome con cui ormai tutta la Russia e il blocco ex sovietico la conoscono, ha rappresent­ato la Federazion­e all’ultimo Eurovision, una competizio­ne dove Mosca, scrive la Novaya Gazeta, “invia i propri artisti come un soldato in guerra”. La sua canzone, “Russkaya Zhenshina”, in traduzione: “donna russa”, è diventata un inno di libertà per le ragazze di uno Stato patriarcal­e e tradiziona­lista, che ha depenalizz­ato la violenza domestica. Manizha, la sua canzone l’hanno ascoltata tutti: perfino al Cremlino. Il Comitato investigat­ivo russo ha ricevuto una richiesta per bandirla. Un gruppo di veterani ha suggerito di far finire la canzone in tribunale e l’unione ortodossa delle donne russe ha firmato una lettera aperta contro di lei perché “mina il senso della famiglia tradiziona­le”. Perfino il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, si è espresso su “Donna russa”.

Si, ma le critiche che mi hanno ferito di più sono quelle arrivate dalle femministe. Perfino loro hanno diffuso fake newscontro di me e la mia famiglia. Lei è diventata la prima ambasciatr­ice Onu per i migranti in Russia, supporta i diritti Lgbt e ha sponsorizz­ato un’app per denunciare la violenza contro le donne. Sul palco non porta solo la musica, ma anche messaggi di resistenza. E un vestito inusuale. Quell’abito è composto da pezzi di stoffa spediti dalle donne di tutta la Federazion­e, li ho cuciti insieme per creare un vestito tradiziona­le russo. Ne esco poi fuori come da un guscio, indossando una tuta della working class, quella che uso anche per la vita di tutti i giorni. È un manifesto: nella vita le donne non devono essere solo sensuali o femminili.

Un abito dentro l’altro, come una matrioska di stereotipi: lei però, in Russia, li ha rotti tutti.

Esco dall’abito e dalla società patriarcal­e: una metafora della mia liberazion­e. Rispetto ogni donna, ma non tutte dobbiamo andare in giro con minigonne argentate e inguinali. Sin dalla mia infanzia, questo era l'unico genere di ragazza che vedevo in tv: c'erano Madonna e Britney Spears, ma non vedevo niente che mi assomiglia­sse, una cosa che può generare complessi. Siamo circondati da stereotipi artificial­i.

“Hai 30 anni, dove sono i tuoi figli? Sei grassa, dimagrisci!”. Poi la canzone continua: “Le donne devono sapere che romperanno il muro”. Come ha fatto lei a non andare in pezzi mentre lo buttava giù?

Se dovessi rompermi, le persone che sopportano abusi ogni giorno, che convivono con l'infelicità o la violazione dei loro diritti, diranno “ehi, Manizha si è rotta, mi arrendo anche io”. C'è un’altra rima della canzone che dice: “Cresciuta senza padre, ma comunque non mi rompo”.

Recentemen­te ho visitato un internat, una casa di accoglienz­a. Quelle erano parole che tra gli orfani volevo evitare, invece quando sono arrivata lì, mi hanno circondato e hanno iniziato proprio loro a cantarle. Io non ci sono riuscita, ho iniziato a piangere. Gli adulti sono abituati a ingannare, i bambini no. Amano e odiano senza filtri.

A proposito di odio: gliene riversano tanto sui social, ogni giorno. Qualcuno la chiama ancora “la tagika”. Ho vissuto mesi duri in cui provavo panico se guardavo il telefono. Durante una delle ultime esibizioni a Mosca un uomo mi ha urlato “scimmia”. Ma era uno solo e ho pensato alle altre migliaia di persone che non lo hanno sostenuto.

Durante i suoi spettacoli vengono proiettate spesso le tele dell'avanguardi­sta Natal'ya Gancharova.

È stata cacciata da un Paese che non l'ha capita, le dicevano che non sapeva dipingere, la sua epoca non l'ha compresa, la sua patria non l'ha onorata. È stata la Freeda Kalo russa. La prima ad andare in giro in pantaloni. Volevo omaggiare una donna che ha avuto una vita difficile e, anche quando è scappata in Francia, ha continuato ad adorare la cultura russa. Proprio come lei: nonostante non tutta la Federazion­e tifi per lei, il suo amore per la Russia rimane incondizio­nato.

Il mio Paese, la Russia, come il resto del mondo, non è ideale, ma non mi unirò al coro di quanti raccontano quanto è cattiva Mosca. Vogliono che tutti vedano la Russia per quel che è: il Paese che con me è stato generoso e mi ha accolto. Io e mia madre siamo arrivate dal Tagikistan senza speranza, senza passaporto e senza soldi, ma la Russia mi ha insegnato a cantare e suonare. Nel mondo contempora­neo, dalla guerre infinite, la cosa più difficile è continuare a rimanere gentili. È un altro modo, per una “donna russa”, di non rompersi.

Siamo circondate da stereotipi Non dobbiamo per forza andare in giro in minigonna

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ANSA Popstar Manizha sul palco dell’eurovision Song Contest di quest’anno
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