Ha staccato la sua “ombra da terra”: addio a Del Giudice
QVIVEVA
non sapendo più di vivere. Confinato in una residenza alla Giudecca, affacciata sul lido di Venezia, Daniele Del Giudice da anni non aveva più memoria di sé, annientato dall’alzheimer. Lui che era stato uno dei protagonisti della nouvelle vague letteraria degli anni 80 si era ridotto a essere nient’altro che un corpo, accudito grazie al vitalizio della legge Bacchelli. L’autore, morto la notte scorsa, manca per ironia della sorte di pochi giorni il Campiello alla carriera, che sabato all‘arsenale avrà il timbro di una celebrazione postuma.
Nato a Roma 72 anni fa, Del Giudice, battezzato da Italo Calvino, sembra esaurire la sua vocazione in una parabola fatale. Lui che avrebbe voluto continuare a scrivere, ma non ha potuto più farlo, aveva debuttato nel 1983 elevando a protagonista del suo Lo stadio di Wimbledon (riedito da Einaudi il prossimo novembre, ndr) Bobi Bazlen, l’intellettuale triestino che pure poteva, ma che rifiutò sempre, di cimentarsi nella scrittura. “Discepolo dell’esattezza”, Del Giudice è stato maestro di stile, capace come pochi altri di armonizzare sulla pagina una sintassi limpida e uno sterminato dizionario tecnico. La sua bibliografia scarna è una ossessiva interrogazione del futuro da “visionario di ciò che esiste”: in Atlante occidentale c’è la percezione del reale attraverso la tecnologia del Cern, in uno dei racconti che compongono Mania c’è la premonizione degli sviluppi della rete. Come Barnaba di Nel museo di Reims, che cerca di vedere i quadri che ama prima di perdere totalmente la vista, Del Giudice, che pilotava piccoli aeroplani, forse sapeva che la sua letteratura non era altro che il tentativo di rincorrere il tempo. Ecco perché, Staccando l’ombra da terra, confidiamo non abbia maturato nessun rimpianto persuaso che “in nessun luogo la parola ti sembra così importante come in cielo”.