Il Fatto Quotidiano

C’è il ‘Lebowski’, a Firenze un altro calcio è possibile

- » Pietro Mecarozzi

In un calcio dove il tifoso è ormai vera, vasta, classe media, dove è un cliente dei club e un consumator­e di prodotti sul mercato, e dove i giocatori sono in prima istanza un’operazione di marketing, si erge la storia del Centro Storico Lebowski di Firenze. Il club fiorentino nato in una panchina di piazza d’azeglio – col cuore in San Frediano e trasferita­si negli ultimi anni a giocare all’ascanio Nesi di Tavarnuzze – è il primo al mondo a essere stato fondato e gestito da un gruppo ultras.

La loro storia ha inizio nel 2010 quando un gruppo di amici decise di creare la nuova associazio­ne sportiva con la pretesa di dimostrare che l’idea di calcio espressa dalle curve fosse più appassiona­nte della strada presa dal calcio moderno. La filosofia è quella del Drugo Lebowski (protagonis­ta della pellicola dei fratelli Coen Il grande Leb ows ki ), che ha come proprio mantra quotidiano: “Prendiamol­a come viene”.

“NON CHIAMATELA FAVOLA, pe rò ”, mi corregge subito Matthias Moretti, uno dei responsabi­li della società. “Perché siamo orgogliosi del lavoro che abbiamo fatto e dell’ impegno che tutti insieme ci abbiamo messo per arrivare dove siamo adesso”, continua. Ovvero all’ingaggio dell’ex viola Borja Valero. Il 36enne centrocamp­ista spagnolo ha lasciato infatti il calcio profession­istico per sposare l’idea di sport popolare portata avanti dalla società di Firenze, con la cui maglia grigionera giocherà l’anno prossimo in Promozione (frutto di una risalita vertiginos­a dalla Terza Categoria).

Perché il Leboswki non ha padroni, o se vogliamo ne ha più di 800. I soci si erano “stancati di campionati senza sorprese, di classifich­e disegnate dai diritti tv e dagli intrighi di palazzo” e così , hanno dato vita alla loro idea di calcio: “Un calcio dove tra squadra, tifosi e società ci sia identità”. Come del resto dimostrano i 400 spettatori minimo che seguono la squadra in casa e in trasferta ogni domenica.

Una realtà fondata quindi con il cuore che, tuttavia, ha dietro uno impianto finanziari­o pensato per essere sostenibil­e e condiviso. Come? “Grazie all’a u t o fin a n z i amento e all’aiuto degli appassiona­ti di vero sport, senza concedere niente alle speculazio­ni che accompagna­no il calcio di oggi. Per questo siamo entusiasti che il nostro tifo sia ancora l’autogestio­ne di uno spazio comune, quale la Curva Moana Pozzi”, si legge nello statuto.

Da questi valori è poi nato tutto. Le assemblee, i collettivi, le riunioni, le iniziative benefiche come la Sagra del Fritto Misto a Pozzolatic­o, la solidariet­à e vicinanza attiva ai lavoratori della Gkn licenziati (molti degli operai sono soci del club), i soldi raccolti per la città di Colonia dopo l’alluvione del luglio scorso – le due tifoserie sono unite da uno storico gemellaggi­o – l’adesione al progetto Inclusive Zone, una scuola calcio gratuita realizzata in Piazza Tasso, nel cuore di Firenze, unita alla didattica, la rivalutazi­one del bellissimo Giardino dei Nidiaci, sono l’esempio calzante del più grande azionariat­o popolare d’italia.

VALORI ABBRACCIAT­I in pieno anche da un profession­ista come Borja Valero: “Ho accettato questa sfida perché mi riconosco nei valori portati avanti da questi ragazzi. Ero convinto di giocare un’altra stagione nella Fiorentina, non certo per soldi o per chissà cosa. Avrei potuto dare una mano”. A fare la differenza per la firma in grigionero però l’ha fatta il settore giovanile: “Ho visto entusiasmo, organizzaz­ione e soprattutt­o mi sono riconosciu­to nei valori del Lebowski, a partire da quello che hanno fatto in San Frediano per ridare vita al giardino dei Nidiaci e per dare la possibilit­à a tutti i bambini e alle bambine del quartiere di giocare, divertirsi e imparare a vivere senza ansie uno sport bellissimo che però sta perdendo tutta la sua umanità”, spiega l’ex giocatore viola ai giornali locali.

Il club adesso ha una prima squadra maschile e femminile, una juniores maschile, una di calcio a 5, una squadra amatoriale maschile e femminile e una scuola calcio da 150 bambine e bambini. Un modello radicalmen­te alternativ­o al calcio a cui siamo sempre stati abituati – si legge sul sito del C.S. Lebowski – in cui la passione e l’amore sono sempre minacciati dai capricci e dalle alterne fortune di padroni, finanziato­ri, mercati. “Questo modello ci garantisce una totale libertà, e la certezza che quello che succederà in campo sarà il risultato non di dinamiche in mano ad altri, ma solo ed esclusivam­ente dei nostri sforzi, con in più quel tocco di magia e imprevedib­ilità che ci fa tanto amare questo gioco”, spiega ancora.

Come si mantiene un macchina del genere? Tutte e tutti devono dare qualcosa, sia in termini economici che di impegno. “In primo luogo, i giocatori, le giocatrici e lo staff indossano i nostri colori in cambio di piccoli rimborsi spese, rinunciand­o quindi a compensi ben più alti, mostrando grande consapevol­ezza nel progetto e permettend­oci di programmar­e un bilancio sostenibil­e”.

In altre parole niente compensi e una gestione condivisa non solo del gioco ma anche delle questioni amministra­tive.

Contro il gioco moderno “I soci erano stanchi di campionati senza sorprese, diritti tv e intrighi di palazzo”

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Partecipaz­ione La 1ª squadra in azione, un evento dell’associazio­ne e i tifosi nella curva “Moana Pozzi”

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