C’è il ‘Lebowski’, a Firenze un altro calcio è possibile
In un calcio dove il tifoso è ormai vera, vasta, classe media, dove è un cliente dei club e un consumatore di prodotti sul mercato, e dove i giocatori sono in prima istanza un’operazione di marketing, si erge la storia del Centro Storico Lebowski di Firenze. Il club fiorentino nato in una panchina di piazza d’azeglio – col cuore in San Frediano e trasferitasi negli ultimi anni a giocare all’ascanio Nesi di Tavarnuzze – è il primo al mondo a essere stato fondato e gestito da un gruppo ultras.
La loro storia ha inizio nel 2010 quando un gruppo di amici decise di creare la nuova associazione sportiva con la pretesa di dimostrare che l’idea di calcio espressa dalle curve fosse più appassionante della strada presa dal calcio moderno. La filosofia è quella del Drugo Lebowski (protagonista della pellicola dei fratelli Coen Il grande Leb ows ki ), che ha come proprio mantra quotidiano: “Prendiamola come viene”.
“NON CHIAMATELA FAVOLA, pe rò ”, mi corregge subito Matthias Moretti, uno dei responsabili della società. “Perché siamo orgogliosi del lavoro che abbiamo fatto e dell’ impegno che tutti insieme ci abbiamo messo per arrivare dove siamo adesso”, continua. Ovvero all’ingaggio dell’ex viola Borja Valero. Il 36enne centrocampista spagnolo ha lasciato infatti il calcio professionistico per sposare l’idea di sport popolare portata avanti dalla società di Firenze, con la cui maglia grigionera giocherà l’anno prossimo in Promozione (frutto di una risalita vertiginosa dalla Terza Categoria).
Perché il Leboswki non ha padroni, o se vogliamo ne ha più di 800. I soci si erano “stancati di campionati senza sorprese, di classifiche disegnate dai diritti tv e dagli intrighi di palazzo” e così , hanno dato vita alla loro idea di calcio: “Un calcio dove tra squadra, tifosi e società ci sia identità”. Come del resto dimostrano i 400 spettatori minimo che seguono la squadra in casa e in trasferta ogni domenica.
Una realtà fondata quindi con il cuore che, tuttavia, ha dietro uno impianto finanziario pensato per essere sostenibile e condiviso. Come? “Grazie all’a u t o fin a n z i amento e all’aiuto degli appassionati di vero sport, senza concedere niente alle speculazioni che accompagnano il calcio di oggi. Per questo siamo entusiasti che il nostro tifo sia ancora l’autogestione di uno spazio comune, quale la Curva Moana Pozzi”, si legge nello statuto.
Da questi valori è poi nato tutto. Le assemblee, i collettivi, le riunioni, le iniziative benefiche come la Sagra del Fritto Misto a Pozzolatico, la solidarietà e vicinanza attiva ai lavoratori della Gkn licenziati (molti degli operai sono soci del club), i soldi raccolti per la città di Colonia dopo l’alluvione del luglio scorso – le due tifoserie sono unite da uno storico gemellaggio – l’adesione al progetto Inclusive Zone, una scuola calcio gratuita realizzata in Piazza Tasso, nel cuore di Firenze, unita alla didattica, la rivalutazione del bellissimo Giardino dei Nidiaci, sono l’esempio calzante del più grande azionariato popolare d’italia.
VALORI ABBRACCIATI in pieno anche da un professionista come Borja Valero: “Ho accettato questa sfida perché mi riconosco nei valori portati avanti da questi ragazzi. Ero convinto di giocare un’altra stagione nella Fiorentina, non certo per soldi o per chissà cosa. Avrei potuto dare una mano”. A fare la differenza per la firma in grigionero però l’ha fatta il settore giovanile: “Ho visto entusiasmo, organizzazione e soprattutto mi sono riconosciuto nei valori del Lebowski, a partire da quello che hanno fatto in San Frediano per ridare vita al giardino dei Nidiaci e per dare la possibilità a tutti i bambini e alle bambine del quartiere di giocare, divertirsi e imparare a vivere senza ansie uno sport bellissimo che però sta perdendo tutta la sua umanità”, spiega l’ex giocatore viola ai giornali locali.
Il club adesso ha una prima squadra maschile e femminile, una juniores maschile, una di calcio a 5, una squadra amatoriale maschile e femminile e una scuola calcio da 150 bambine e bambini. Un modello radicalmente alternativo al calcio a cui siamo sempre stati abituati – si legge sul sito del C.S. Lebowski – in cui la passione e l’amore sono sempre minacciati dai capricci e dalle alterne fortune di padroni, finanziatori, mercati. “Questo modello ci garantisce una totale libertà, e la certezza che quello che succederà in campo sarà il risultato non di dinamiche in mano ad altri, ma solo ed esclusivamente dei nostri sforzi, con in più quel tocco di magia e imprevedibilità che ci fa tanto amare questo gioco”, spiega ancora.
Come si mantiene un macchina del genere? Tutte e tutti devono dare qualcosa, sia in termini economici che di impegno. “In primo luogo, i giocatori, le giocatrici e lo staff indossano i nostri colori in cambio di piccoli rimborsi spese, rinunciando quindi a compensi ben più alti, mostrando grande consapevolezza nel progetto e permettendoci di programmare un bilancio sostenibile”.
In altre parole niente compensi e una gestione condivisa non solo del gioco ma anche delle questioni amministrative.
Contro il gioco moderno “I soci erano stanchi di campionati senza sorprese, diritti tv e intrighi di palazzo”