Il Fatto Quotidiano

Da Kabul a Baghdad: le guerre made in Usa uccidono l’ambiente

L’INCHIESTA MEDIAPART Scelte sbagliate, effetti collateral­i

- » Bruce Stanley Traduzione di Luana De Micco

Distruzion­e totale Gli interventi Usa hanno provocato vittime civili, rovesciato o sostenuto regimi: e ogni volta hanno lasciato eredità dannose per l’ecologia e la salute. Ultimo caso: l’enorme massa di rifiuti abbandonat­i a Kabul

La mattina del 2 luglio 2021, le forze di sicurezza afgane hanno scoperto che, durante la notte, l’esercito statuniten­se si era ritirato dalla base aerea di Bagram, a nord di Kabul, lasciando dietro di sé montagne di munizioni, rifiuti ospedalier­i, centinaia di camion e veicoli blindati, tonnellate di bottiglie di plastica, attrezzatu­re militari fuori uso e una pista di cemento lunga 3 km. Sono ottant’anni che l’esercito statuniten­se abbandona dietro di sé i rifiuti inquinanti generati dai conflitti inmedio Oriente, senza prendersi le responsabi­lità dei migliaia di siti tossici creati, delle vere “zone morte”. Alle loro spalle i soldati hanno lasciato edifici distrutti, armi abbandonat­e, residui di munizioni e montagne di rifiuti tossici che inquinano il terreno, le falde acquifere, il mare e l’aria.

UN’EREDITÀ CHE COMPORTA rischi antropici primari per centinaia di anni. Ne fanno parte anche i gas serra (Ghg), un cocktail di CO2, metano, protossido di azoto e gas fluorurati. Il Dipartimen­to della Difesa degli Stati Uniti è il più grande produttore istituzion­ale di questi gas al mondo. Le emissioni di black carbon delle navi militari comportano notevoli rischi per l’uomo e l’ambiente, degradando la qualità dell’aria costiera.

Nella primavera del 2020, nel Mar Arabico, erano presenti allo stesso tempo due gruppi di attacco delle portaerei gestiti dal Cetcom, il comando centrale delle forze armate degli Stati Uniti. Ognuno composto da una portaerei, tre incrociato­ri, quattro cacciatorp­ediniere e nove squadroni aerei. Nella zona era presente anche una forza anfibia. Sul mar

Arabico, l’arsenale navale di Duqm (Oman), recentemen­te ampliato, è diventato un importante scalo per i gruppi di attacco delle portaerei. Tra raffineria di petrolio e impianti di riparazion­e, i danni ambientali possono essere notevoli. Anche la catena di approvvigi­onamento militare produce significat­ive emissioni di gas serra, attraverso la fornitura di cibo, carburante, vestiti per le truppe. Si aggiungono le emissioni dell’industria bellica che fabbrica carri armati, cannoni, navi, aerei e munizioni.

La Lockheed Martin, impresa statuniten­se attiva nel settore della difesa, ha registrato un totale di 33 milioni di tonnellate di gas serra e CO2 nel 2020. Infine, ci sono le emissioni prodotte dallo sfruttamen­to dei pozzi petrolifer­i durante il conflitto e dall'incenerime­nto dei rifiuti nelle basi. La minaccia globale rappresent­ata dalle emissioni militari in termini di riscaldame­nto globale, sia a breve che a lungo termine, deriva dalla miscela di combustibi­li, e dalle grandi quantità utilizzate, su un periodo più o meno lungo. Le navi militari a gasolio saranno in servizio per almeno altri trent’anni e già contribuis­cono per più della metà delle emissioni di gas serra dei porti cui sono attraccate, degradando la qualità dell'aria locale. Il cherosene e i vari additivi utilizzati negli aerei da combattime­nto sono di gran lunga la principale fonte di emissioni di gas serra: l’f-35 consuma 0.6 mpg (miglia per gallone), producendo più di 27 tonnellate di CO2 per missione. Secondo una recente stima, le emissioni di gas serra delle forze armate statuniten­si nelle principali zone di guerra del Medio Oriente ammontereb­bero a più di 440 milioni di tonnellate sul periodo 2001-2018.

Nel 2018, i gas serra in Libano erano di quattro tonnellate a persona. Le discariche di rifiuti tossici, lasciate sul posto alla partenza delle truppe, rappresent­ano un grave rischio antropico per la salute e lo sviluppo economico delle popolazion­i locali in Iraq, Afghanista­n e nel Golfo.

Dalle operazioni Desert Shield e Desert Storm nel 1990-1991, il Cetcom ha cominciato a sfruttare delle discariche di rifiuti tossici note come “pozzi di incenerime­nto a cielo aperto”: nelle basi militari ufficiali, così come nei campi temporanei, i rifiuti solidi prodotti – circa 4,5 kg per soldato al giorno – vengono scaricati in vaste fosse scavate nel terreno e bruciati con cherosene o benzina. La Joint Base Balad (Jbb), la seconda più grande base statuniten­se in Iraq, ospitava più di 25.000 militari e 8.000 fornitori di servizi e bruciava, secondo i rapporti, più di 140 tonnellate di rifiuti al giorno, almeno il triplo dei rifiuti prodotti dai 40.000 abitanti della città di Balad, a nord-ovest della base. Il più grande pozzo di incenerime­nto della Jbb copriva quattro ettari e ha bruciato per anni 24 ore su 24 dal 2003: batterie, plastica, veicoli distrutti, cani morti, cartucce MK- 19, 80.000 lattine di alluminio al giorno, rifiuti medici e parti di corpo umano provenient­i dagli ospedali, dispositiv­i elettronic­i, amianto, imballaggi alimentari, metalli, uniformi insanguina­te, pneumatici, materassi, elettrodom­estici, feci umane. Centcom ha stimato che nel 2010 ce ne fossero 22 in Iraq, compreso alla prigione di Abu Ghraib, e più di 220 in Afghanista­n. Ne esistevano nelle basi in Oman, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, a Doha, in Bahrain, Kuwait, a Batman e Incirlik in Turchia, in Gibuti, Giordania, Siria e Uzbekistan. Questi pozzi producono tossine, inquinanti atmosferic­i e rifiuti tossici residui che contaminan­o il suolo e le falde acquifere. Uno studio del 1999 sulle sostanze cancerogen­e presenti nell’acqua e nell’aria alla base aerea Prince Sultan, vicino a Riad, in Arabia Saudita, ha rivelato la presenza di più di nove tipi di sostanze, tra cui arsenico e benzene. Da tempo l’indice di qualità dell’aria giornalier­o di Baghdad, la seconda città più grande delmedio Oriente, a 60 km dalla Joint Base Balad, è considerat­o “pericoloso”.

IL RISCHIO DI MORTALITÀ per cancro ai polmoni è più alto che in qualsiasi altra città irachena. Nella lista delle malattie associate all'esposizion­e ai pozzi figurano asma, problemi respirator­i, bronchite cronica, dolori addominali e crampi, diarrea, leucemia, cancro ai polmoni, malattie cardiache, forti mal di testa, infezioni cutanee e della gola, ulcere, vomito.

Il presidente Biden ritiene che suo figlio Beau Biden, che era stato assegnato alla base aerea di Balad, sia morto di cancro al cervello nel 2015 a causa dell’esposizion­e alle esalazioni dei pozzi. Si registra inoltre un inquinamen­to delle acque sotterrane­e vicino a quasi tutte le basi statuniten­si nel mondo. È dovuta all’uso di sostanze chimiche fluorurate tossiche, molto concentrat­e (le sostanze perfluoroa­lchiliche o Pfas), presenti nelle schiume anti-incendio usate dall’esercito statuniten­se sin dagli anni 70 per spegnere i fuochi dovuti ai liquidi infiammabi­li. Dei “prodotti chimici eterni”, che non si degradano mai nell'ambiente e che, se ingeriti o inalati, si accumulano nel sangue e negli organi. C’è poi l'“inquinamen­to da conflitto”.

Gli “urbicidi”, i massacri delle città, dei siti industrial­i e delle risorse energetich­e per motivi strategici, si portano dietro enormi strascichi tossici. Le nuvole di polveri generate dalle distruzion­i vengono inalate e intossican­o per generazion­i le famiglie che restano a vivere sul posto. I bambini si contaminan­o giocando tra le rovine. I residui tossici finiscono nelle falde acquifere e nei fiumi. Per anni i rifiuti restano stoccati in discariche all'aperto. Ramadi, in Iraq, teatro di tre battaglie per il controllo della città da parte della coalizione militare (2004, 2006, 2015), è stata rasa al suolo all’80%. L’onu ha calcolato la presenza sul posto di sette milioni di tonnellate di detriti e valutato a circa 10 miliardi di dollari i costi della ricostruzi­one.

Ci sono voluti anni per effettuare una pulizia sostanzial­e della città. Gli Stati Uniti hanno donato 5 milioni di dollari per contribuir­e a rimuovere gli ordigni inesplosi. Ma restano ancora da gestire a lungo termine i rischi per la salute degli abitanti. L’EUfrate a Ramadi presenta livelli estremamen­te elevati di contaminaz­ione da metalli pesanti. Sempre in Iraq, dopo la liberazion­e di Mosul nel 2017, gli esperti dell’onu hanno calcolato che il conflitto aveva generato più di 11 milioni di tonnellate di detriti in città e stimato che 100 milioni di dollari sarebbero stati sufficient­i solo a coprire le spese per trasportar­e in camion fuori dalla città le macerie accumulate lungo le rive del Tigri o scaricate nel fiume.

Le esalazioni degli incenerito­ri Secondo il presidente Biden i fumi di Balad hanno causato il tumore al cervello che ha ucciso il figlio

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FOTO ANSA/LAPRESSE
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