Bollette, svolta green equa e libero mercato incompatibili
Il prezzo medio del gas in Europa è triplicato, in qualche caso ha superato il picco storico del 2008, gettando nel panico i governi di tutto il continente. In Italia il ministro Cingolani cerca di scongiurare un possibile rincaro delle bollette del 40%. Ad incidere sui prezzi di gas ed elettricità (a sua volta prodotta in gran parte dal gas naturale) è la (momentanea) scarsità dell’offerta, accoppiata con l’intermittenza delle rinnovabili che non sempre immettono energia nella rete al momento giusto. Delle vere e proprie “crisi energetiche” si susseguono da qualche anno sulle due sponde dell’atlantico che hanno l’una liberalizzato (Unione europea), l’altra deregolamentato (Stati Uniti), il settore energetico. Solo lo scorso febbraio in Texas, superpotenza mondiale di petrolio a gas, una bufera invernale ha fatto saltare il 40% dell’elettricità dello Stato, facendo schizzare i prezzi dell’elettricità del 1000% e provocando 80 morti.
ANCORA PIÙ delle emergenze, dovrebbe preoccupare che i prezzi dell’elettricità e del gas sono saliti costantemente più dell’inflazione dal 2009, generando ampi profitti per le società energetiche (solo Enel tra il 2016 e il 2020 ha fatto profitti per 22,56 miliardi). Sia negli Usa che nell’ue solo chi ha potuto difendersi dal libero mercato è riuscito a limitare i danni. I texani che a partire dal 2004 hanno fatto affidamento sul mercato libero hanno pagato 28 miliardi di dollari in più rispetto ai clienti che invece sono rimasti al mercato regolato. In Italia nel 2019 i clienti serviti in regime di libero mercato hanno pagato in approvvigionamento mediamente circa 27 euro/mwh in più rispetto ai clienti in regime di maggior tutela. La tendenza al rialzo dei prezzi è spinta da fattori strutturali come l’aumento dei prezzi di mercato del carbonio, la necessità di sostenere gli investimenti nelle rinnovabili, la scomparsa di qualsiasi struttura internazionale dei prezzi di petrolio e gas. Le soluzioni dei vari governi europei quali diminuzione dell’iva, scorporo degli incentivi alle rinnovabili dalle bollette, utilizzo dei ricavi dalla tassazione del carbonio per abbassare le bollette, mirano a salvaguardare i profitti delle società energetiche. Le riduzioni delle imposte in bolletta graveranno, in ultima analisi, su tutti i cittadini. Mentre se i ricavati dalle aste del carbonio vengono utilizzati per sostenere il consumo di energia prodotta anche da fonti fossili, allora meglio abolire del tutto il mercato del carbonio (Ets).
L’UE sbanda perché, priva di politica dell’energia, è solo in grado di fissare obiettivi: le rinnovabili al 38-40% entro il 2030 (circa il doppio di oggi), eliminazione totale delle emissioni dei veicoli al 2035. Come si arriva a questi obiettivi è lasciato al mercato con incentivi e supporto agli investimenti privati. È del tutto evidente che le società private non hanno una reale intenzione di pianificare (e accelerare) gli investimenti in rinnovabile e nessun interesse a ridurre le bollette per i consumatori, dunque i loro profitti. Le partecipate come le italiane Eni e Enel non fanno eccezione. Eni ha annunciato che con i profitti del rialzo dei prezzi del petrolio ricomprerà ( buy back) sue azioni per 400 milioni in modo da rimpinguare i già mostruosi stipendi deimanager pagati in stock options (altro che investimenti in rinnovabili!). Enel conferma che i suoi utili saranno investiti in mezzo mondo, con particolare attenzione in India, dove frutteranno di più. Il paradosso è che l’ue è nata proprio dando vita nel 1952 a una politica energetica: si chiamava
Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca). Il carbone rappresentava allora di gran lunga la principale fonte energetica del continente. Le imprese del carbone erano state quasi tutte nazionalizzate e la Ceca decideva orientava gli investimenti, decideva sui prezzi, supportava la riqualificazione dei lavoratori nella aree minerarie in crisi.
DUNQUE, se veramente si vuole una transizione energetica dalla fonti fossili che sia equa e pianificata, e non un percorso minato da crisi croniche, si dovrà tornare allo spirito della Ceca e cestinare l’era del libero mercato dell ’energia apertasi negli anni ‘ 90. Gli Stati dell’ue dovranno coordinarsi sugli investimenti in rinnovabili e infrastrutture elettriche, sui prezzi dell’elettricità e sui margini di profitto consentiti alle aziende energetiche, dovranno negoziare contratti a lungo termine con i fornitori di gas e petrolio che assicurino prezzi stabili e, se necessario, dovranno intervenire direttamente nella produzione di energia elettrica, nazionalizzando le aziende recalcitranti o creandone di nuove. Quel che non potranno fare è continuare a incrociare le dita, facendo affidamento sull’instabilità del libero mercato e sulla sete di profitti delle aziende private.
PARADOSSO NIENTE TRANSIZIONE “SOCIALE” SENZA STATO CHE REGOLA I PREZZI