Firenze contro, c’era una volta la città di La Pira e Don Milani
Tutto sta tornando come prima. Cioè malissimo. Ora che abbiamo l’illusione di esser fuori dalla pandemia, volano nel vento le promesse di cambiamento, conversione, revisione radicale di modelli economici e sociali fallimentari.
Nel caso delle cosiddette città d’arte, come Firenze, questo significa ricominciare con la monocultura del turismo, che desertifica i quartieri e induce a una sorta di prostituzione collettiva. Perché quando una città vede se stessa come una merce, da infiocchettare e rendere più desiderabile possibile, tutto quello che è pensiero critico e contestazione viene avversato, e ridotto al silenzio. Una città tutta fatta di camerieri (lo dico col massimo rispetto di questa degnissima professione) è una città pronta a servire, non certo a lottare.
La bellissima manifestazione di sabato per, e con, la Gkn (chiusa via whatsapp grazie allo sblocco dei licenziamenti del governo Draghi) ha detto ai fiorentini: “Insorgiamo!”. Ma dov’è la Firenze davvero capace di insorgere nelle scelte strategiche? Da quanti anni non esiste un sindaco, o un assessore alla cultura, degno anche solo di allacciare le scarpe alla tradizione civile della città?
“PENSAVO
– ma infine cosa ha fatto Firenze per essere sempre ‘attaccata’? Ha contestato la guerra (convegni pace etc.) ha contestato l’ingiustizia (Pignone, Galileo, etc.), ha contestato la scuola (‘Lettera ad una professoressa’), ha difeso i deboli, gli oppressi ed ha fatto argine ai potenti ed ai ricchi: ha fatto male? Ecco il Vangelo: ecco Pio XII: ecco Giovanni XXIII: Paolo VI ( Pop. Progressio): non licet tibi è la divisa di Firenze sin dal tempo del fascismo: un vessillo ora risollevato: ecco tutto!”. Si stenta a credere che queste parole (scritte da Giorgio La Pira a Paolo VI il 2 novembre 1968) ritraggano davvero la città dei Renzi e dei Nardella, la città “della bellezza”, del lusso, degli eventi esclusivi. È, invece, una Firenze contro, che fin dal tempo della resistenza al fascismo, fa proprio un motto di Seneca: Non licet tibi quicquam arbitrio tuo facere, cioè “non ti è permesso fare come ti pare”.
Una città che contestava l’arbitrio e il privilegio dei ricchi e dei potenti: la stessa che oggi invece progetta di violare il Giardino di Boboli con una teleferica per ricchi diretti a un resort di lusso realizzato in un complesso edilizio storico già sacro e già pubblico. Una città penosamente prona allo stato delle cose: ma nella quale, ancora 50 anni fa, la politica (quella per la pace, dello stesso La Pira sindaco), le lotte sindacali delle sue grandi fabbriche metalmeccaniche, la critica durissima di don Milani costruivano un’anima ribelle.
LA LETTERA DI LA PIRA è pubblicata in un bellissimo libro dell’ex procuratore della Repubblica di Firenze Beniamino Deidda, appena uscito a Firenze per le Edizioni delle Piagge, espressione di una comunità cristiana radicale che vive, con spirito profetico, nella periferia della città. Il libro, Basta un uomo, è la biografia di un protagonista dimenticato di questa Firenze contro: don Bruno Borghi, prete operaio. La testimonianza di Borghi è quella di una perpetua opposizione al potere, una continua denuncia del suo arbitrio: i padroni non possono trattare i lavoratori come merce (oggi, proprio a Firenze, torniamo a capirlo di fronte alla vicenda mostruosa della Gkn), i vescovi non possono trattare i preti come automi, lo Stato non può trattare i disabili e i carcerati come non-persone.
BORGHI HA PAGATO spesso di persona la sua insubordinazione: i processi di cui si dà conto nel libro, e i continui attacchi subìti dalla destra (cattolica, affaristica, fascista) sono lì a testimoniarlo.
“Dimmi chi ti attacca, ti dirò chi sei”, scrive ancora La Pira al papa, spiegandogli così chi fosse davvero Borghi: “Se lo attaccamattei (l’allora direttore della Nazione , nda) con tanta virulenza – Mattei … che sta sempre comodamente sulla ‘sedia dei ricchi’, al tavolo, alla mensa dell’epulone – è segno (per dire così) che don Borghi ha ragione! Mattei non capisce come mai ci possa essere un sacerdote che – come don Borghi – peni davvero (8 ore di lavoro duro!) per partecipare (senza retorica e senza demagogia) alla sofferenza degli operai!... lo schema evangelico ‘ oppressori e oppressi’(questo intende dire don Borghi quando parla di ‘ lotta di classe’) (schema autenticamente biblico ed evangelico: Gesù anazareth) è ancora vero, e costituisce lo schema che dà volto (nonostante tutte le attenuazioni sindacali e politiche) alla struttura stessa delle fabbriche; dall’una parte ‘gli uomini dirigenti di prima categoria’, dall’altra, gli ‘uomini sottoposti di seconda categoria’. Questo non è marxismo: è la fotografia della realtà: realtà severa, che sfugge a coloro che non l’h a nn o mai vista e sperimentata!”.
Un sindaco che racconta in questi termini un prete operaio al papa: per chi si chiede dove si trovi davvero la bellezza di Firenze, ecco la risposta più vera.
Addio cambiamento Con l’illusione che la pandemia sia agli sgoccioli, tutto torna come prima. Anche il turismo di massa, che uccide le località d’arte