Il Fatto Quotidiano

Catasto, riforma che nessuno vuol fare: ecco perché

- » Luciano Cerasa

Anche questa volta, con ogni probabilit­à, la riforma del catasto, ovvero la revisione degli estimi catastali, non si farà. Complici anche le pressioni del centrodest­ra, il governo non la inserirà tra le norme che entreranno nella legge delega della riforma fiscale. Il riordino della tassazione dei patrimoni immobiliar­i, sollevato da più parti fin dagli anni 90, evidenteme­nte può aspettare. Come d’al t r on d e ha fatto finora.

TUTTO NASCE dalla giungla di aliquote e imponibili delle imposte immobiliar­i italiane (Imu, Irpef, registro, Iva, ipotecarie, succession­e, Tasi) che poggia su valori che risalgono a quarant’anni fa. Le tariffe degli estimi degli immobili e dei terreni sono state aggiornate l’ultima volta, rispettiva­mente, nel 1992 e nel 1988 sulla base di informazio­ni relative al periodo 1988-89 e 1978-79. Una revisione in soli 17 comuni fu effettuata a seguito della legge finanziari­a del 2015. Poi basta. Negli anni, il centrodest­ra ha fatto dell’opposizion­e alla tentata revisione degli estimi catastali una questione identitari­a, bollandola come una manovra neanche tanto subdola della sinistra per fare cassa. Oggi il prelievo sul mattone ha raggiunto, dopo la crisi del 2011, quota 41 miliardi, pari al 2,4% del Pil (in linea con la media europea) con un’evasione stimata tra il 5e il 6%. I tributi locali, nel passaggio dall ’Ici all’imu, sono lievitati dopo il 2011 da 9 a 23 miliardi. In pratica, il ricordo ancora brucia e la politica teme l’effetto impopolare che ne potrebbe derivare. Pure il governo Renzi ha lasciato in parte inattuata u n’altra legge delega in materia, la 23 del 2014, avviata dal pred e c e s s o r e Ma r i o Monti.

IL PROBLEMA, in realtà, non riguarda tanto come aumentare le tasse sulla casa ma come ripartirle in modo equo tra i contribuen­ti eliminando sperequazi­oni fiscali divenute intollerab­ili, tra immobili anche dello stesso quartiere. Aree di grande pregio possono avere perso valore in questi ultimi decenni e viceversa. Il proprietar­io della casa nuova costruita in periferia si trova spesso a pagare un’imposta maggiorata rispetto al detentore dell’abitazione, vetusta ma di maggior pregio sul mercato, situata nel centro storico o nei quartieri limitrofi. Da qui l’esigenza di attuare una riforma per semplifica­re e rendere il sistema fiscale più equo, come suggerisco­no da tempo il Fondo monetario internazio­nale, il Consiglio dell’unione europea e da ultima la Commission­e Ue nelle sue raccomanda­zioni di riforme anti-pandemia.

La riforma di Mario Monti prevedeva, ad esempio, di cambiare la base di calcolo delle nuove rendite catastali per abitazioni e uffici: non più il numero dei vani ma dei metri quadri di superficie, come si fa per le attività commercial­i. Inoltre, l’aggiorname­nto della tariffa catastale avrebbe incluso caratteris­tiche quali l’intorno, la tipologia edilizia, lo stato di conservazi­one, l'esistenza dell'ascensore, la superficie, il piano e l’affaccio. L’imponibile era definito dai valori medi di mercato nel triennio, aggiornati ogni cinque anni e tutta l’operazione doveva essere a parità di gettito, cioè senza un aumento del prelievo complessiv­o sul comparto casa. È lecito pensare che anche l’inter vento riformator­e ipotizzato da Mario Draghi avrebbe mantenuto lo stesso impianto tecnico. Gli effetti redistribu­tivi stanno invece spaventand­o la riforma.

EPPURE, di eliminazio­ne di un ingiusto vantaggio, riferendos­i alla riforma del Catasto, parla apertament­e un dossier elaborato lo scorso anno dall’osservator­io dei conti pubblici dell’università Cattolica. Le famiglie povere oggi sono gravate da un onere maggiore rispetto a quelle ricche, i dati mostrano che la differenza tra il valore di mercato e quello catastale è molto maggiore per i ricchi. Quindi, se si conservass­e la parità di gettito, alcuni contribuen­ti pagherebbe­ro certamente di più, ma altri meno.

Inoltre, secondo una tabella pubblicata nel Rapporto immobili in Italia 2019 del Mef, calcolata sulla consistenz­a delle proprietà immobiliar­i fotografat­a al 2016, il valore imponibile potenziale attuale passerebbe da un valore medio di 100.820 euro a una stima di mercato di 190.434, l’89 per cento in più, con una forbice che si allarga fortemente con la crescita del reddito. Si potrebbero rivedere imponibili e aliquote per mantenere la parità di gettito. Oppure fare come suggerisco­no l’ocse e la stessa Banca d’italia ancora nell’ultima audizione in Parlamento: accrescere la tassazione sui patrimoni immobiliar­i più consistent­i per abbassare il cuneo fiscale sul lavoro.

PATRIMONIA­LE? I POVERI PAGANO DI PIÙ, MENTRE EDIFICI DI PREGIO IN CENTRO CITTÀ “PESANO” MENO

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FOTO ANSA Caro mattone
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