Dalla Prima
Queste: “La condizione fondamentale era che lui poteva raggiungere il vertice dell’organizzazione siciliana a patto di rivelare i nominativi mio e del comandante al suo interlocutore. Facemmo capire a Ciancimino che questa non era una nostra iniziativa personale... Al quarto incontro, Ciancimino si fece portatore di un messaggio di accettazione della nostra richiesta di trattativa, di dialogo, di discorso dei vertici siciliani. Ci disse: ‘ Sono d’accordo, va bene, accettano, vogliono sapere che cosa volete’”. La richiesta del Ros era chiara: l’ “immediata cessazione dell’attività stragista nei confronti dello Stato”, con l’evidente intenzione di concedere qualcosa ai corleonesi in cambio della “pax mafiosa”. Infatti Riina esulta con i suoi: “Si sono fatti sotto”. Il farsi avanti del Ros è la prova che le stragi pagano. Proprio ciò che si proponeva quando le concepì sullo scorcio del 1991 nel caso in cui, come poi avvenne, lo Stato avesse tradito gli impegni di insabbiare il maxi-processo in Cassazione: “Fare la guerra per fare la pace”. Infatti prepara il “papello” con le sue richieste allo Stato, molte delle quali verranno esaudite nei mesi e negli anni successivi. E le stragi non si interrompono, neppure dopo la sua cattura (13 gennaio ‘93): anzi, proprio per alzare il prezzo, Cosa Nostra alza il tiro. Prima in via d’amelio a Palermo contro Borsellino e la scorta (19 luglio ‘92), poi a Roma (attentato a Costanzo, 14 maggio ‘ 93), poi a Firenze (via dei Georgofili, 27 maggio ‘93), infine a Milano e Roma in simultanea (via Palestro e due basiliche capitoline, 27 luglio ‘93). E ottiene la destituzione del capo del Dap, il duro Niccolò Amato, sostituito da un esponente della linea morbida, e la revoca del 41-bis per 334 mafiosi.
La strage fallita e poi annullata allo stadio Olimpico di Roma (23 gennaio ‘94), tre giorni prima dell ’annuncio della discesa in campo di B., chiude la prima trattativa (quella del Ros sotto i governi Amato e Ciampi) e avvia la seconda, con Dell'utri che – secondo i giudici di primo grado – veicola la minaccia di Cosa Nostra al governo dell’amico Silvio. Il quale, vinte le elezioni del ‘ 94 anche grazie ai voti di mafia e ‘ndrangheta, prosegue la demolizione dell’antimafia, con attacchi ai pm, ai pentiti, all’ergastolo e al 41-bis e soprattutto con le tre norme filo-mafia contenute nel decreto Biondi (13 luglio ‘ 94) e anticipate da Dell’utri a Vittorio Mangano in alcuni incontri nella sua villa sul lago di Como. Il decreto Salvaladri e Salvamafiosi viene ritirato a furor di popolo, ma riassorbito un anno dopo nella “riforma” penale del governo Dini, votata anche dal centrosinistra. Questi sono i fatti, nudi e crudi. E nessuna sentenza negazionista o revisionista potrà mai cancellarli.