Il Fatto Quotidiano

“La Compagnia e il battesimo firmato Eduardo”

“Così è nata la Compagnia”

- » Fabrizio Basciano

Dopo più di quarant’anni, i membri originari della Nuova Compagnia di Canto Popolare tornano a suonare insieme: Eugenio Bennato, Giovanni Mauriello e Patrizio Trampetti si sono appena ritrovati al Festival di Capri in omaggio a due vecchi compagni di musica recentemen­te scomparsi, Corrado Sfogli e Carlo D’angiò. Bennato, come vive questa storica “Reunion”?

Mi incuriosis­ce molto: incontrare i miei vecchi compagni di strada è un momento significat­ivo. Siamo rimasti sempre in contatto, ma un concerto tutti insieme è la prima volta che succede dal momento della mia fuoriuscit­a dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare. Sono pezzi che non faccio da cinquant’anni.

Con D’angiò avete condiviso la fondazione, nel 1967, della Nuova Compagnia di Canto Popolare: com’era il vostro rapporto?

Io e Carlo eravamo amici fraterni: è uno dei più grandi artisti che ho conosciuto. Abbiamo scritto insieme uno dei pezzi più importanti della storia della musica popolare, Brigante se more . Lui uscì dalla Compagnia poco prima di me, e ci siamo ritrovati per fondare Musicanova, la formazione in cui esordì la giovane Teresa De Sio. Lei se ne andò dalla Compagnia prima di Gatta Ce

nerentola nel ’76: perché? Volevo scrivere nuova musica, e nel contesto della Compagnia, dedicata com’era al solo revival, avevo difficoltà. Inoltre lì c’era una forte componente teatrale: il teatro presuppone una finzione scenica, mentre invece la musica, specialmen­te quella popolare, è verità che cambia sera dopo sera.

Col gruppo successivo, Musicanova, si andava verso un repertorio originale, ad esempio la scelta di presentare Tammurriat­a nera in chiave folk ... Esistono musicologi per i quali la cultura popolare sarebbe andata persa. Con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, e poi dopo con Musicanova e i Taranta Power, abbiamo fatto in tempo a salvare la cultura musicale popolare. Chiarament­e correndo rischi, ma a me i rischi interessan­o poco: a me interessa che la chitarra battente oggi sia uno strumento che entra nelle sale da concerto; a me interessa che la tammurriat­a sia tornata in auge; mi interessa che la Notte della Taranta sia capace, con un pubblico di 150.000 persone, di sovvertire l’ordine delle cose nel mondo globalizza­to. Questo è molto più importante dei distinguo pedanti dei musicologi. Quindi la musica popolare è in continuo divenire?

La musica popolare, se viene reiterata come in un museo, si esaurisce: deve essere collegata alla storia, alla realtà. Se non ci fosse venuto in mente di parlare di briganti la nostra musica sarebbe finita. Partendo dalla tradizione popolare si va nel presente per proiettars­i nel futuro. Venti anni fa l’italia non era nei festival internazio­nali della world music, così come invece erano presenti la Spagna col suo flamenco e il Portogallo col suo fado. Adesso esiste anche la taranta, esiste anche la musica del Sud Italia e la chitarra battente è entrata nel novero degli strumenti pregiati per l’attività concertist­ica. Torniamo indietro: che ruolo ebbe nel lancio della Compagnia Eduardo De Filippo?

De Filippo venne a sentirci nel ’72 al Teatro Esse di via Martucci, a Napoli. Dopo il concerto, nei camerini, senza esibirsi in elogi o frasi fatte ci disse: “Quando c’è il popolo dietro non si può sbagliare”. Dopodiché ci portò nel suo teatro, il San Ferdinando, per presentarc­i al suo pubblico, e poi sempre nel ’72 ci portò al Festival dei Duemondi di Spoleto: al bar c’era Samuel Beckett che parlava con Luchino Visconti. Era presente tutta la cultura europea. È stata incredibil­e la capacità di quell’uomo, che era già una leggenda, di incuriosir­si e andare a vedere quello che facevano dei ragazzi della sua città.

Lei ha sempre avuto un rapporto conflittua­le con lo show business. Come vive oggi questo rapporto? Giorni fa sono stato in concerto a Genova: la mattina dopo mi hanno invitato al museo di Fabrizio De André, dove mi hanno dato da suonare la sua chitarra. Ecco, la sua è una figura in cui mi sono rispecchia­to: entrambi siamo lontani da qualsiasi genere di arruffiana­mento del pubblico e attenti solo allo spessore delle cose che comunichia­mo attraverso parole e note.

‘‘ De Filippo venne a sentirci nel ’72, nei camerini disse: ‘Quando c’è il popolo dietro non si può sbagliare’

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