“A mia insaputa”: Fini, Scajola, Polverini Quando i politici sbattono sul mattone
D’accordo i soldi, il prestigio, il potere, lo status: ma vuoi mettere col vecchio mattone? La Casta ha un feticismo immobiliare: case e casali, appartamenti, attici, ruderi, terreni e villini; politici in genere prudenti che sacrificano carriere ultradecennali sull’altare del catasto, teste che rotolano per un affare imperdibile o un rogito bizzarro. Il governatore sardo Christian Solinas, coi suoi strambi preliminari mai finalizzati da 200mila euro, è l’ultimo epigono di una lunga genìa di incauti.
IL CASO più celebre e tragico è quello di Gianfranco Fini. L’uomo che ha portato i postfascisti al governo sarà ricordato sempre e per sempre per la famigerata “casa di Montecarlo”, l’appartamento monegasco che il cognato Giancarlo Tulliani acquistò dalla fondazione di Alleanza Nazionale (con i soldi riciclati del “re delle slot” Francesco Corallo). Lo scoop che ha massacrato Fini fu pubblicato sul Giornale di Berlusconi (anno 2010, erano i tempi del “che fai, mi cacci?” e della scissione finiana), il dossier fu confezionato da Valter Lavitola, micidiale spicciafaccende di Silvio. “Il Cavaliere mi diede 500mila euro per trovare quelle inform az io ni ” ricorda ‘ Val te ri no’, che oggi gestisce un ristorante di pesce a Roma. Il brutale destino di Fini l’ha sorpreso: “Per colpa di quella casa l’hanno letteralmente squagliato”.
Fatale fu anche il mezzanino in via del Fagutale numero 2, il gioiello da 180 metri quadri con vista sul Colosseo di Claudio Scajola. O meglio, abitato da Scajola ma pagato in larga parte da Diego Anemone, l’imprenditore della “cricca” del G8 aquilano. Correva sempre l’anno 2010: “Sciabole tta” ci mise 600mila euro, Anemone 1 milione tramite l’architetto Angelo Zampolini, più 100mila di ristrutturazioni. Scajola prima si coprì di eterno ridicolo abbozzando una difesa leggendaria: poteva anche darsi che la casa fosse pagata da Anemone, ma “a sua insaputa”. Poi si dimise da ministro dello Sviluppo economico. Nel 2014 è stato assolto dall’inchiesta penale, ma per la rabbia e l’imbarazzo ha detto di non esser più riuscito a metter piede nella “disgraziatissima casa”.
IMMOBILI, immobili e ancora immobili. I 550 metri quadri (+200 di terrazza) di Ciriaco De Mita in via Arcione, centro storico di Roma, sono un manifesto del crepuscolo della Prima Repubblica. Nel 1988 la casa fu ristrutturata con i fondi del Sisde e De Mita finì di fronte al Tribunale dei ministri. La sua famiglia, che pagava un canone quasi simbolico( trai 3 e i 4 mila euro), l’ha acquistata per meno di 3 milioni e mezzo nel 2011, forse la metà del valore di mercato. La pasionaria Renata Polveriniperse l’innocenza la prima di innumerevoli volte per la casa popolare di San Saba (Roma): un affitto da 380 euro al mese, cioè la quota sanzionatoria per gli inquilini abusivi. Tale era infatti il marito di Renata, Massimo Cavicchioli, che occupava l’immobile illegalmente dalla morte della nonna nell’89 (lo scandalo scoppiò nel 2011, poi i due si sono separati e Cavicchioli è stato sfrattato).
La storia politica è fatta di tanti affitti particolari: Giulio Tremonti e i 4mila euro in contanti al deputato Marcomilanese (che ne pagava a sua volta 8mila), Matteo Renzi e la casa pagata da Marco Carrai, Roberto Calderoli e quella pagata dalla Lega. Svariati ministri sono inciampati sul mattone: Pietro Lunardipagò 4 milioni un palazzo che ne costava 8 (e apparteneva a Propaganda Fide), persino i sobri mo nt ia ni F il ip po Patroni Griffi e Vittorio Grilli finirono sulla graticola per affari immobiliari strabilianti a canoni parecchio lontani da ogni ipotesi di mercato, proprio loro che nel mercato hanno tanta fede. E poi c’è la storia inversa, quella di Antonio Di Pietro. Anche lui “squagliato”, come Fini, agli occhi dell’opinione pubblica. Un’inchiesta di Report gli attribuì la bellezza di 54 proprietà immobiliari. In verità erano “particelle catastali”, scrive Marco Travaglio in Bugiardi senza gloria: “Un singolo terreno può comprenderne una decina. Si gioca con le parole, puntando alla confusione”. Gli immobili di proprietà della famiglia Di Pietro in verità erano 11, i suoi personali 3 (invece di 54). Ma la carriera politica è in archivio.
LO SCOOP
IL N.2 DEL PDL INCASTRATO DAL GIORNALE DELL’EX CAV.