Il Fatto Quotidiano

Trudeau e il voto: un capriccio costato 600 milioni di dollari

- » Michela A.G. Iaccarino

Justin Trudeau ha vinto le elezioni, ma ha perso la scommessa. Il partito dei liberali canadesi non raggiunge i 170 seggi necessari per ottenere la maggioranz­a perduta ormai due anni fa e il premier rimane ancora a capo di un governo di minoranza, saldo in sella al potere di Ottawa, ma senza davvero controllar­e le redini dell'esecutivo. Non agguanta l'ampio suffragio a cui ambiva, il vero motivo per cui il premier 49enne aveva indetto queste elezioni anticipate a metà agosto scorso, durante la quarta ondata dell'emergenza sanitaria. Urne bandite, hanno detto sin da subito i suoi detrattori, solo per mera ambizione personale. Eletto nuovamente da “milioni di canadesi per un piano progressis­ta” e per “superare la pandemia e arrivare a giorni più luminosi”, dopo la timida vittoria ai seggi, Trudeau ha promesso subito “un reale cambiament­o” ai cittadini delusi che non sentivano la necessità di queste legislativ­e anticipate. Queste preferenze, dunque, delegittim­ano più che rafforzare. Non è una vera vittoria: quella che il premier canadese ha celebrato ieri è solo una sconfitta minore rispetto a quella dell'avversario, i l conservato­re Erin O'toole. Per il suo rivale “i canadesi hanno rispedito Trudeau indietro con un'altra minoranza, ma al costo di 600 milioni di dollari e divisioni ancora più profonde in questo grande Paese”. Costate quasi 500 milioni di dollari americani, queste urne hanno riproposto quasi il medesimo risultato delle elezioni bandite nell'ottobre 2019, quando i liberali ottennero solo 157 seggi, solo uno in più rispetto a oggi. L'opposizion­e conservatr­ice ne detiene adesso 123, seguono gli indipenden­tisti del Quebec, la sinistra del Nuovo Partito democratic­o e Verdi. Per gli esperti queste cifre raccontano davvero solo il disincanto della fetta dello stesso elettorato canadese che favorì l'ascesa del primo ministro nel 2015: oggi, sette anni dopo, si ritrova politicame­nte più debole di allora, ma alla boa del suo terzo mandato.

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