Ora incentivi strutturali per aiutare la transizione
Secondo una ricerca della multinazionale di consulenza strategica Kearney, c’è una grossa distanza tra la domanda di auto elettriche in Italia e quella in Europa. Lo scorso anno da noi le vendite hanno pesato per il 4% sul totale, contro una media del 10% nell’uni on e europea. Un gap che si riscontra anche nel parco circolante elettrico, pari allo 0,25% nel nostro Paese e all’1,07% in Europa. I concessionari faticano a spingere i veicoli a batteria e anche la rete di ricarica paga dazio: 22 colonnine ogni 100 mila abitanti contro le 64 europee. Se si aggiunge che le risorse assegnate dal Pnrr alla Transizione ecologica (il 37% in Italia e il 45% nella Ue) solo per l’1,4% verranno dedicate alle infrastrutture di supporto alla mobilità elettrica nel Bel Paese, rispetto al 13,6% europeo, appare chiaro come si debba spingere parecchio sull ’acceleratore. La grande questione è quella degli incentivi, senza i quali la neonata mobilità elettrica non riuscirebbe a reggersi sulle sue ruote. Ne sono stati elargiti a profusione in Italia, anche se il sistema a singhiozzo utilizzato finora ha minato le certezze sia dei costruttori che dei consumatori. La soluzione potrebbe essere quella di renderli una misura strutturale, sottraendola alla spada di Damocle del rifinanziamento periodico. Il Mise è al lavoro su un’eventualità del genere, che sarebbe un segnale convincente di stabilità e programmazione. Oltre che un puntello indispensabile per le auto a elettroni, al netto delle valutazioni sull’opportunità delle scelte.