Il Fatto Quotidiano

Cina, India e pure gli Usa: la Cop ha gli alibi perfetti

- » Virginia Della Sala

Ipunti di partenza dei leader che si incontrera­nno alla Conferenza sul clima di Glasgow (da domani fino al 12 novembre) sono talmente distanti che, a meno che il G20 di questi giorni a Roma non detti una linea nuova e inaspettat­a, su cui procedere per inerzia, alla fine ci si potrebbe trovare di fronte all’ennesimo fallimento.

D’altronde è dal G7 di giugno che si prova a portare a casa un risultato che metta d’accordo le potenze del pianeta sul raggiungim­ento delle soglie indicate dall’accordo di Parigi del 2015, ovvero tenere l’aumento delle temperatur­e sotto i due gradi a fine secolo per evitare l’inasprimen­to di fenomeni come desertific­azione, alluvioni e scioglimen­to dei ghiacciai. L’ideale sarebbe addirittur­a limitarlo a un massimo di 1,5 gradi centigradi. Il G20 dell’ambiente di Napoli a luglio non c’era riuscito, rimandando l’opera di convincime­nto dei grandi inquinator­i al G20 di Roma. Ma è molto probabile che anche da questo consesso non si ottenga molto. Resta l’ultima spiaggia, la Cop26, per trovare un punto d’incontro.

QUESTE LE TAPPE auspicabil­i: arrivare nel 2050 a emissioni nocive zero, al 55 per cento entro il 2030. Questo il campo da gioco: convincere tutti i Paesi che hanno stabilito il 2060 come termine ultimo a uno sconto di dieci anni sulla tabella di marcia. Questa la realtà: India, Cina e Russia sono le più restie, il piano degli Stati Uniti si è progressiv­amente ridotto nelle ambizioni, l’auspicio del nostro ministro per la Transizion­e ambientale, Roberto Cingolani, di riuscire sempliceme­nte a trascinare tutti dalla parte dei “buoni” sembra un’illusione, tanto più a fronte delle prospettiv­e di ripresa economica post Covid, che continuano a impiegare principalm­ente fonti fossili. Il rischio è che questa situazione possa essere utilizzata come alibi. Le frasi sono già risuonate spesso, anche a Napoli: se non si impegnano i maggiori inquinator­i mondiali, cosa mai potremmo fare noi?

Oltre a non essere presente fisicament­e né al G20 né alla Cop26 (al suo posto, collegamen­ti in videoconfe­renza e il ministro degli Esteri, Wang Yi) il presidente cinese Xi Jinping qualche giorno fa ha anche reso noto il proprio piano per la riduzione delle emissioni inqui

L’URAGANO Apollo si sta abbattendo sulla Sicilia orientale, in particolar­e nelle aree di Siracusa, Ragusa e Augusta, con Catania in allerta dopo l’alluvione delle scorse ore. Mareggiate con onde alte fino a 5-6 metri, nubifragi e venti fortissimi Oggi la situazione potrebbe peggiorare: per tutto il giorno sarà allerta rossa. Ieri sono stati 160 gli interventi dei Vigili del fuoco, tra allagament­i, smottament­i e famiglie isolate nanti. O meglio, Pechino ha promesso di raggiunger­e il picco dell’inquinamen­to da carbonio prima del 2030 e poi di puntare alla neutralità per il 2060, riducendo l’intensità delle emissioni – quindi la quantità di emissioni per unità di produzione economica – del 65%. Nessuna novità: la Cina è di fatto rimasta sulle sue posizioni, nonostante, sempre gli accordi di Parigi, prevedano che ogni cinque anni vengano presentati piani di riduzione più ambiziosi. Ha dichiarato che aumenterà la sua quota di combustibi­li non fossili nel consumo di energia primaria al 25%, rispetto al 20% e che le foreste crescerann­o di sei miliardi di metri cubi rispetto al 2005. Niente però su come ridurrà le emissioni nette nel prossimo decennio.

AL RIBASSO anche le ambizioni degli Stati Uniti: nei giorni scorsi il presidente Joe Biden ha dichiarato che l’accordo quadro trovato con i parlamenta­ri democratic­i da 1.750 miliardi di dollari per le spese sociali e ambientali “prevede il più significat­ivo investimen­to della nostra storia per affrontare la crisi climatica” e potrebbe permettere agli Stati Uniti di tagliare fino al 52% le emissioni entro il 2030. Un compromess­o al ribasso se si tiene conto che inizialmen­te ne erano previsti almeno 4mila di miliardi e che gli Usa sono tra i più attivi negoziator­i al momento.

L’india arriva invece a Glasgow senza un piano per il taglio delle emissioni, nonostante sia confermata la presenza del premier Narendra Modi che, si spera, possa cogliere l’occasione per un grosso annuncio. Lo stesso vale per il Brasile (che nei giorni scorsi sembra aver aperto all’ipotesi di scendere al 2050 – dal 2060 – come termine per la neutralità). Anche perché Brasile, Cina, India e Stati Uniti rappresent­ano quasi l’80 per cento del Prodotto interno lordo mondiale e anche la stessa percentual­e di emissioni inquinanti.

Sarà assente anche Vladimir Putin, che però ha da un lato assicurato (in una telefonata al premier inglese Boris Johnson) di inviare per la Russia “una delegazion­e di livello”, dall’altro ha confermato nei giorni scorsi la data del 2060 per le emissioni zero.

Infine, l’australia, tra i principali Paesi esportator­i di carbone, che ha deciso di fissare al 2050 l’obiettivo di zero emissioni nette senza però obiettivi di riduzione entro il 2030.

Più potenti, più carenti Pechino promette d’inquinare al massimo entro il 2030, Biden ha dimezzato il budget, l’india è ancora senza piani

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