Il Fatto Quotidiano

5S: “Ora alla pari con i dem” Ma mezzo Pd rivuole Renzi

Fraccaro furioso L’ex ministro: “L’abbraccio col Pd è perdente”. Azzolina: “Tra i democratic­i prevale chi rincorre Italia Viva anche dopo il ddl Zan?”

- » Luca De Carolis

Da una parte c’è il maggiorent­e dem Lorenzo Guerini ad avvertire Enrico Letta, ma anche i grillini, che di chiudere la porta a Matteo Renzi e Carlo Calenda non se ne parla: “Penso che il campo largo di cui ha parlato il segretario sia un dovere che dobbiamo portare avanti con grande impegno”. Dall’altra, il pur contiano Riccardo Fraccaro, furibondo per le modifiche al Superbonus – una sua misura – che scandisce quello che tanti 5Stelle pensano: “L’abbraccio con il Pd è una strategia perdente”.

FUOCHI OPPOSTI, e in mezzo c’è Giuseppe Conte, presidente del M5S che da dopo le Comunali vive in un eterno mare grosso. E per tirarsi fuori da acque troppo agitate deve innanzitut­to ridefinire il rapporto con i dem e difendere i confini della coalizione giallorosa, il suo perimetro. Per questo le contorsion­i dem su Renzi e Calenda suscitano nuovo fastidio ai piani alti del M5S. Mentre in serata Conte lo ripete ad alcuni dei suoi: “Mai con quei due e i loro partiti personalis­tici, alle prossime elezioni chiederemo agli italiani il voto utile”. È la strada obbligata per provare a tenere assieme i gruppi parlamenta­ri già intossicat­i da rogne croniche e nuovi rancori, compresi quelli per le recenti nomine interne. Mostrarsi meno adagiati sui dem e indifferen­ti alle loro convulsion­i sulle alleanze. Non è un caso che nelle scorse ore Luigi Dimaio abbia quasi esortato l’ex premier:

“Il rapporto con il Pd deve essere alla pari”. Un’esigenza che Conte pare aver compreso. Già nell’assemblea congiunta di una decina di giorni fa, aveva giurato che verso i dem non ci si porrà in modo subalterno. E aveva insistito sul nodo dell’identità del M5S: “Dobbiamo decidere cosa siamo”.

Così ieri sul Fatto la neo-vicepresid­ente vicaria Paola Taverna lo ha detto dritto: “Il M5S non ha mai parlato di nuovo Ulivo, ora ci aspettiamo che il Pd ci dimostri di voler fare un percorso assieme sui temi, a partire dal salario minimo”. Ed è quanto Taverna sosteneva da tempo anche nelle conversazi­oni con l’avvocato, proprio come altri contiani come il tesoriere alla Camera Francesco Silvestri e l’ex ministra Lucia Azzolina. Sollecitaz­ioni, segnali. E qualcosa si è mosso. Lo conferma quanto fatto trapelare dal M5S sulla partita del Colle: ossia che l'elezione di Mario Draghi al Quirinale potrebbe andare bene, anche a Conte, mentre su un nome del Pd il Movimento proprio non reggerebbe. Mentre l’apparente rottura pubblica di Enrico Letta con Renzi dopo il disastro in Senato sul ddl Zan era stata accolta come una liberazion­e. Però, ieri mattina, Guerini e tutti i suoi di Base Riformista dicono ovunque che con l’amico Matteo non si può rompere. “L’alleanza con M5S e Pd non può bastare” teorizza Alessandro Alfieri, il portavoce della corrente dem. E Letta a stretto giro precisa: “Io lavoro sempre in una logica di centrosini­stra inclusivo, vincente”. Così Alfieri incassa: “Bene Letta”. Ma non può andare bene a Conte, che oltretutto in giornata deve leggere di un Fraccaro bellico: “Se manteniamo una linea di coerenza e rilancio dei nostri temi senza essere succubi di qualcuno potremo crescere, il contrario non è percorribi­le”.

CERTO, l’ex ministro è nervoso per la questione Superbonus (“con il nuovo testo in manovra non è più super”). Ma il tema della rotta resta centrale. Lo conferma Azzolina al Fatto : “Il tema è quale sensibilit­à prevale nel Pd: forse quella che vuole rincorrere a tutti i costi Renzi anche dopo il ddl Zan?”. La risposta pare complicata, in un venerdì in cui i 5Stelle mettono in fila riunioni via Zoom sulla manovra. Cercando il modo di difendere qualche bandiera.

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