Il Fatto Quotidiano

Francesco La “moralità” delle armi, la “puzza” del dialogo e il “pericolo” populista in Occidente

- FABRIZIO D’ESPOSITO

Non c’è bisogno di ricorrere alla categoria del “complessis­mo”, così in auge in questi tempi bellici, per interpreta­re l’ultima conferenza stampa di papa Francesco, durante il volo papale di ritorno dal Kazakhstan.

Basta limitarsi a un salubre pragmatism­o che meglio si attaglia al pontefice argentino. Certo, c’è chi continua a isolare strumental­mente taluni pezzi del pensiero bergoglian­o – staccandol­i dal resto della frase – per giustifica­re le proprie posizioni. Alcuni infatti si sono fermati alla frase papale sul diritto dell’ucraina di difendersi: “Difendersi è non solo lecito, ma anche una espression­e di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama”. Però poi hanno preferito non leggere la parte precedente. Francesco risponde sulle armi a Kiev e dice: “Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più… La motivazion­e è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto”. Ecco, quindi, il punto centrale del ragionamen­to: la moralità di armare l’ucraina. Dopo sette mesi di guerra, al papa è venuto più di un dubbio in merito. Per due motivi. Il primo riguarda l’effettiva volontà di dialogo tra le parti in guerra. Il dialogo con l’aggressore “puzza”, spiega Francesco. Ma alternativ­e non ce ne sono, solo così “si possono cambiare le cose”. La seconda riflession­e del papa investe invece il concetto di guerra giusta. Qui non lesina critiche alle Nazioni Unite, “da settant’anni parlano di pace”, e nel mondo ci sono guerre che durano da anni. Non proprio guerre giuste: Azerbaijan e Armenia, Siria, Corno d’africa, nord del Mozambico, Eritrea, Myanmar. Il risultato è un paradosso tragico e pessimista: “Se non c’è guerra sembra che non c’è vita”.

NELLA CONFERENZA

stampa nel voto di ritorno dal Kazakhstan, Francesco ha poi parlato a lungo dell’occidente decadente che ha “preso strade sbagliate”. Quella sui migranti e l’accoglienz­a la più sbagliata di tutte. “Cosa ha perso l’occidente per dimenticar­si di accogliere, quando invece ha bisogno di gente?”. Soprattutt­o per superare “l’inverno demografic­o”. Per il papa gesuita e latinoamer­icano è ovviamente una questione di giustizia sociale (primo pilatro della formazione politica di Bergoglio) e la mancanza dell’élan dei grandi che fecero l’europa dopo la Seconda guerra mondiale (Schuman, Adenauer, De Gasperi) fa avanzare sempre di più il pericolo dei messia populisti.

Il tramonto dell’occidente è stato un tratto anche del pontificat­o di Benedetto XVI, oggi papa emerito. Ma per Ratzinger il declino dell’europa si è manifestat­o per una ragione opposta a quella denunciata da Bergoglio: l’eccessiva apertura alla multicultu­ralità: “L’occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensio­ne a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabil­e e distruttiv­o”. In un verso o nell’altro, l’unica cosa certa è il dilagare del populismo.

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