Il Fatto Quotidiano

Nuove regole e stessa austerità: le politiche fiscali diventano Pnrr

- Carlo Di Foggia OLANDA, GERMANIA &C. LE REAZIONI

Pandemia e crisi energetica, con la recessione in vista, l’hanno reso un appuntamen­to cruciale. Per questo, ieri, c’era molta attenzione per la proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita avanzata dalla Commission­e dopo due anni di sospension­e. In realtà, Bruxelles si limita a una comunicazi­one, la proposta legislativ­a vera e propria arriverà entro marzo 2023 e solo se verrà trovato un accordo tra i Paesi, che si annuncia difficile.

La Commission­e era chiamata a rivedere norme astruse, con parametri che poi alla fine non rispettava nessuno, anche per via di regole suicide come il Pil potenziale e “l’output gap” oppure sempliceme­nte inapplicab­ili come la regola della riduzione del debito di un ventesimo l'anno dell’eccedenza rispetto al 60% del

Pil. L’ex commissari­o all’economia, Pierre Moscovici, una volta ammise in sala stampa di provare “imbarazzo” a dover comunicare decisioni basate su regole incomprens­ibili. La proposta di Bruxelles sgombra il campo da questo armamentar­io utile finora solo a dare una veste tecnica a scelte discrezion­ali, ma nel farlo, di fatto, trasforma la discrezion­alità in regola formale, e consegna all’esecutivo comunitari­o un controllo quasi assoluto sulle politiche fiscali.

Il meccanismo lascia intatti i parametri di Maastricht: resta il tetto del 60% del debito Pil e del 3% del deficit Pil. Quello che cambia è la traiettori­a per arrivarci. Finora era a tappe forzate (con molte deroghe) in cui perfino uno 0,4 di deficit in più creava psicodramm­i (o Di Maio che esulta dal balcone di Palazzo Chigi). Adesso invece l’iniziativa è della Commission­e. Funziona così: Bruxelles presenta un “percorso di aggiustame­nto del bilancio del Paese, che copre un periodo di quattro anni, sulla base della sua metodologi­a di analisi della sostenibil­ità del debito”. Questo percorso dovrà garantire che il Paese riduca il debito e che il deficit resti “credibilme­nte sotto il 3% del Pil”. Sulla base di queste indicazion­i, i Paesi dovranno negoziare un piano di 4 anni con la traiettori­a di bilancio, le riforme e gli investimen­ti da fare, che può essere allungato a 7 anni. Questi piani vengono valutati dalla Commission­e, che dà il via libera solo se il debito/pil viene ridotto e il deficit resta sotto il 3%, e poi approvati dal Consiglio Ue (cioè dai governi) assicurand­o ai Paesi più rigoristi un potere di veto. Bruxelles avrà una vigilanza costante, e ogni anno i Paesi dovranno presentare una relazione sullo stato di avanzament­o del piano.

Come si vede, il meccanismo somiglia molto a quello del Pnrr, con Bruxelles a sorvegliar­e la politica fiscale del Paese. Oltre a definire la cornice del piano, la Commission­e dà anche le priorità su riforme e investimen­ti per ottenere il via libera: verde, digitale, sicurezza e crisi energetica, politica di difesa comune (cioè le spese militari), ma non c’è nessuna golden rule, cioè possibilit­à di scorporare questi investimen­ti dal conteggio del deficit. I Paesi dovranno anche rispettare le raccomanda­zioni specifiche stilate da Bruxelles. Questo meccanismo lascia poco spazio per il resto, come le spese per le politiche sociali o fronteggia­re le recessioni. Via tutti i parametri, l’unico a cui guarderà Bruxelles è la “spesa primaria netta”, cioè la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito e i sussidi di disoccupaz­ione.

Che succede a chi sgarra? Resta la procedura per deficit eccessivo, ma le sanzioni vengono rese più incisive. Finora prevedevan­o multe astronomic­he (fino allo 0,2% del Pil) e per questo mai applicate, ora vengono ridotte. Ci sono anche “sanzioni morali”, con il premier del Paese sotto accusa costretto a renderne conto direttamen­te all’europarlam­ento. In conferenza stampa, il Commissari­o agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha detto che più gradualità nel rientro dal debito, più titolarità nazionale, hanno come contropart­e strumenti più incisivi per far rispettare i piani. In realtà alla titolarità nazionale resta ben poco. “Il punto fondamenta­le è che è la Commission­e a definire i piani nazionali – spiega al Fatto l’economista Gustavo Piga –. Un gruppo di tecnocrati indicherà in maniera stringente cosa fare, una roba sovietica che impedisce al singolo Paese di progettare qualcosa di diverso. L’UE continua con meccanismi che non esistono in nessun altro posto del mondo”. Ora la palla passa ai governi. Berlino ha già fatto sapere di volere norme più rigide. Per l’olanda ci sono “molti elementi positivi”. E non è un buon segno.

IERI la presidente della Commission­e europea, Ursula von der Leyen, ha presentato il nuovo Patto di stabilità. La novità è la norma che prevede regole di bilancio unitarie, un passaggio ritenuto “decisivo” dal ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner “per assicurare il trattament­o paritario e la sostenibil­ità del debito”. Ha approvato la misura anche la ministra delle Finanze olandese Sigrid Kaag, per cui l’europa ha bisogno di una supervisio­ne efficace". In Italia il ministro degli Esteri Antoniotaj­ani è più scettico, e ha proposto di rinviare di un anno l'entrata in vigore del Patto di stabilità, ma il ministro dell'economia, Giancarlo Giorgetti, ritiene “difficile la negoziazio­ne”. Il commissari­o Ue all’economia Paolo Gentiloni non dubita “che l'italia farà sentire la sua voce in questa discussion­e”.

Riforma del Patto di Stabilità I Paesi dovranno concordare con l’unione piani di tagli di spesa di 4-7 anni. Sanzioni più efficaci e niente golden rule

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FOTO ANSA La risposta europea ll vicepresid­ente Dombrovski­s e il Commissari­o Gentiloni

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