Nuove regole e stessa austerità: le politiche fiscali diventano Pnrr
Pandemia e crisi energetica, con la recessione in vista, l’hanno reso un appuntamento cruciale. Per questo, ieri, c’era molta attenzione per la proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita avanzata dalla Commissione dopo due anni di sospensione. In realtà, Bruxelles si limita a una comunicazione, la proposta legislativa vera e propria arriverà entro marzo 2023 e solo se verrà trovato un accordo tra i Paesi, che si annuncia difficile.
La Commissione era chiamata a rivedere norme astruse, con parametri che poi alla fine non rispettava nessuno, anche per via di regole suicide come il Pil potenziale e “l’output gap” oppure semplicemente inapplicabili come la regola della riduzione del debito di un ventesimo l'anno dell’eccedenza rispetto al 60% del
Pil. L’ex commissario all’economia, Pierre Moscovici, una volta ammise in sala stampa di provare “imbarazzo” a dover comunicare decisioni basate su regole incomprensibili. La proposta di Bruxelles sgombra il campo da questo armamentario utile finora solo a dare una veste tecnica a scelte discrezionali, ma nel farlo, di fatto, trasforma la discrezionalità in regola formale, e consegna all’esecutivo comunitario un controllo quasi assoluto sulle politiche fiscali.
Il meccanismo lascia intatti i parametri di Maastricht: resta il tetto del 60% del debito Pil e del 3% del deficit Pil. Quello che cambia è la traiettoria per arrivarci. Finora era a tappe forzate (con molte deroghe) in cui perfino uno 0,4 di deficit in più creava psicodrammi (o Di Maio che esulta dal balcone di Palazzo Chigi). Adesso invece l’iniziativa è della Commissione. Funziona così: Bruxelles presenta un “percorso di aggiustamento del bilancio del Paese, che copre un periodo di quattro anni, sulla base della sua metodologia di analisi della sostenibilità del debito”. Questo percorso dovrà garantire che il Paese riduca il debito e che il deficit resti “credibilmente sotto il 3% del Pil”. Sulla base di queste indicazioni, i Paesi dovranno negoziare un piano di 4 anni con la traiettoria di bilancio, le riforme e gli investimenti da fare, che può essere allungato a 7 anni. Questi piani vengono valutati dalla Commissione, che dà il via libera solo se il debito/pil viene ridotto e il deficit resta sotto il 3%, e poi approvati dal Consiglio Ue (cioè dai governi) assicurando ai Paesi più rigoristi un potere di veto. Bruxelles avrà una vigilanza costante, e ogni anno i Paesi dovranno presentare una relazione sullo stato di avanzamento del piano.
Come si vede, il meccanismo somiglia molto a quello del Pnrr, con Bruxelles a sorvegliare la politica fiscale del Paese. Oltre a definire la cornice del piano, la Commissione dà anche le priorità su riforme e investimenti per ottenere il via libera: verde, digitale, sicurezza e crisi energetica, politica di difesa comune (cioè le spese militari), ma non c’è nessuna golden rule, cioè possibilità di scorporare questi investimenti dal conteggio del deficit. I Paesi dovranno anche rispettare le raccomandazioni specifiche stilate da Bruxelles. Questo meccanismo lascia poco spazio per il resto, come le spese per le politiche sociali o fronteggiare le recessioni. Via tutti i parametri, l’unico a cui guarderà Bruxelles è la “spesa primaria netta”, cioè la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito e i sussidi di disoccupazione.
Che succede a chi sgarra? Resta la procedura per deficit eccessivo, ma le sanzioni vengono rese più incisive. Finora prevedevano multe astronomiche (fino allo 0,2% del Pil) e per questo mai applicate, ora vengono ridotte. Ci sono anche “sanzioni morali”, con il premier del Paese sotto accusa costretto a renderne conto direttamente all’europarlamento. In conferenza stampa, il Commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha detto che più gradualità nel rientro dal debito, più titolarità nazionale, hanno come controparte strumenti più incisivi per far rispettare i piani. In realtà alla titolarità nazionale resta ben poco. “Il punto fondamentale è che è la Commissione a definire i piani nazionali – spiega al Fatto l’economista Gustavo Piga –. Un gruppo di tecnocrati indicherà in maniera stringente cosa fare, una roba sovietica che impedisce al singolo Paese di progettare qualcosa di diverso. L’UE continua con meccanismi che non esistono in nessun altro posto del mondo”. Ora la palla passa ai governi. Berlino ha già fatto sapere di volere norme più rigide. Per l’olanda ci sono “molti elementi positivi”. E non è un buon segno.
IERI la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato il nuovo Patto di stabilità. La novità è la norma che prevede regole di bilancio unitarie, un passaggio ritenuto “decisivo” dal ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner “per assicurare il trattamento paritario e la sostenibilità del debito”. Ha approvato la misura anche la ministra delle Finanze olandese Sigrid Kaag, per cui l’europa ha bisogno di una supervisione efficace". In Italia il ministro degli Esteri Antoniotajani è più scettico, e ha proposto di rinviare di un anno l'entrata in vigore del Patto di stabilità, ma il ministro dell'economia, Giancarlo Giorgetti, ritiene “difficile la negoziazione”. Il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni non dubita “che l'italia farà sentire la sua voce in questa discussione”.
Riforma del Patto di Stabilità I Paesi dovranno concordare con l’unione piani di tagli di spesa di 4-7 anni. Sanzioni più efficaci e niente golden rule