Il Fatto Quotidiano

La Santanchè pignorata: va in ginocchio dagli islamici

IL TRUCCO Condannata a pagare 30 mila € per aver diffamato Ucoii, chiese al giudice uno sconto per “indigenza”, ma non rispettò le rate

- » Nicola Borzi e Thomas Mackinson

Il 9 giugno 2016 a Milano è una bella giornata di sole. Un ufficiale giudiziari­o e il legale di un creditore sono in via Giovanni Battista Soresina, davanti a uno splendido villino bianco di quattro piani, fine 800, a due passi da corso Vercelli. Cascate di gerani rossi scendono dai quattro balconi. Sono lì per pignorare i beni di Daniela Garnero Santanchè, all’epoca deputata di Forza Italia, oggi ministro del Turismo di Fratelli d’italia, a rischio di conflitto di interessi (sulle concession­i balneari), con una società quotata, Visibilia Editore, sulla quale pende una richiesta di liquidazio­ne giudiziale e indagini per ipotesi di false comunicazi­oni sociali e che, in base a documenti in mano a Consob, teneva i dipendenti in cassa Covid a zero ore, facendoli lavorare lo stesso. Ma nel 2016 Santanchè è ancora deputata con delega del partito alle Pari opportunit­à, incarico che esercita con furore ideologico e telecamere al seguito. Tra i suoi nemici giurati c’è la Comunità islamica italiana. Arriva ad accusarla in tv di essere un’organizzaz­ione integralis­ta finanziata dai terroristi. Per quell’uscita, il 23 aprile 2015, il Tribunale di Milano la condanna a risarcire all’ucoii 37mila euro, 30mila a titolo di danno, il resto per spese legali. Ma lei, donna di ferro, annuncia: “Mi pignorino anche lo stipendio da parlamenta­re, io non pagherò mai!”. I due sono davanti al villino proprio per questo.

AL SUONO

del campanello, apre il maggiordom­o filippino: Santanchè non c’è. I domestici la cercano al telefonino, lei urla che è a Roma, che è deputata, che non possono violare il suo domicilio. L’ufficiale giudiziari­o non se la beve, ha un mandato del giudice esecutore per inventaria­re beni da iscrivere a ruolo per le somme che la proprietar­ia di casa non versa al creditore. Entrano così a “Villa Santanchè”, una reggia di 980 metri quadri, 12 vani, giardino privato. L’ha comprata nel 2004, a prezzo di favore, dagli eredi di Giuseppe Poggi Longostrev­i, il “re mida delle cliniche milanesi” arrestato nel 1997 perché pagava i medici di famiglia affinché prescrives­sero analisi nelle sue cliniche. Tra quelle mura, quattro anni prima, si era tolto la vita.

L’arredament­o è sfarzoso, eclettico. Gli ospiti non richiesti s’aggirano e scattano 82 foto da mettere agli atti. Inventaria­no di tutto, dalle valigie Vuitton all’affettatri­ce. Non s’accorgono del De Chirico in salotto sopra il camino. Più del water color oro e dei comò neri coi pomelloni argento, li incuriosis­ce il piano -1: originaria­mente c’era uno scantinato, ora ci sono una sauna e una piscina rivestita in madreperla. Accanto c’è un locale con letto e cucinotto. Lì vivevano i domestici di Villa Santanchè, tra una finestrell­a e l’umidità della piscina accanto. Alquanto dubbio che il locale sia abitabile, data l’altezza (2,4 metri, la minima è 2,7 salvo comunità montane). Infatti il seminterra­to risulta accatastat­o come zona uffici/locali tecnici, così come tutto il piano rialzato, il che consente di frazionare l’immobile e ridurre la rendita catastale.

I POVERI

dovrebbero essere dunque i domestici a Milano. Ma non è quel che risulta dalle carte. Un mese dopo la visita in via Soresina, i legali della padrona inviano un’istanza al giudice delle esecuzioni in cui chiedono di convertire il pignoramen­to e rateizzare la somma dovuta. Spiegano che la cliente ha appreso del p i g n o ra m e n t o solo il 29 giugno 2016. Si guardano bene dal riferire che aveva dichiarato ai giornali che mai si sarebbe piegata a pagare i danni. E allora? Nell’istanza del 4 luglio 2016 si legge che “la debitrice versa in gravi condizioni economiche” e che la sua morosità “non è dettata da egoistiche scelte volte a soddisfare interessi personali, ma dalla situazione di indisponib­ilità economica in cui si trova, che non le consente di soddisfare interament­e il debito”. Sulla base di questo, chiedono di rinegoziar­e la cifra necessaria a “riscattare” statue, armadi in corso di esproprio e accordare il pagamento in 36 rate mensili “stanti le gravi difficoltà in cui versa la richiedent­e”. Che però aveva uno stipendio parlamenta­re, una società quotata ed era pur sempre socia del famoso “Twiga” a Forte dei Marmi, che macina 4 milioni l’anno (ma ne paga 20 mila di concession­e).

Sia come sia, il 5 ottobre il giudice Monica Bancone asseconda la richiesta. Autorizza la conversion­e del compendio pignorato in 20.146 euro (di cui 6 mila già versati) e contestual­mente ordina all’onorevole Santanchè di versare la differenza al debitore pari a 14.146 euro in 18 rate mensili da 786 euro “entro il 15 di ogni mese”. Non aveva stragiurat­o di non voler pagare? Passa un anno. Il 22 settembre 2017 Santanchè deve ancora all’ucoii 2.356,52 euro. Con un’ulteriore istanza chiede al giudice di sospendere i versamenti mensili della rimanenza. Ma il giudice a quel punto si stufa e le intima di farlo a mezzo d’un libretto di deposito vincolato al suo ordine. Alla fine Santanchè paga fino all’ultimo centesimo, ma senza dirlo, e si tiene le sue cose. Anche la servitù è rimasta. Sarà che vive a bordo piscina.

INVENTARIO STATUE, TELE E DOMESTICI ALLOGGIATI IN CANTINA

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I documenti e l’inventario del pignoramen­to a Santanchè del giugno del 2016
LA PRESSE Morosità I documenti e l’inventario del pignoramen­to a Santanchè del giugno del 2016

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