Il Fatto Quotidiano

I russi lasciano Kherson, ma Kiev teme la “trappola”

- Michela A. G. Iaccarino

Mosca ai suoi soldati: ripiegate sulla riva sinistra del fiume Dnipro. Il prikaz, l’ordine è stato ufficializ­zato ieri da Sergey Shoigu, ministro della Difesa russo, apparso lento e pallido alle telecamere del Cremlino: “Le vite delle truppe hanno la priorità, la decisione di abbandonar­e la riva destra non è facile, facciamo di tutto per assicurare evacuazion­i degli abitanti”. Senza pronunciar­e la parola “ritirata”, Shoigu ha esaudito la richiesta di Sergey Surovikin, “il generale Armageddon” posto a capo delle operazioni contro Kiev tre settimane fa, per vincere un’operazione militare che per i russi sta diventando sempre meno speciale e sempre più difficile.

ACCIGLIATO, con la mappa di guerra alle spalle, il veterano ha spiegato che il rischio dell’isolamento delle truppe russe al di là del fiume era totale. Difficoltà logistiche hanno impedito rifornimen­ti di armi e cibo. Gli ucraini, che secondo il militare hanno subito perdite nove volte superiori a quelle dei russi, continuano a tentare di colpire la grande diga di Nova Kakhova e potrebbero riuscire a sommergere presto l’area. Ieri per i cittadini della Federazion­e, in tv, è andata in onda la sconfitta dei due Sergey, il ministro e il generale, che non riescono a vincere la guerra del presidente. La dichiarazi­one di dietrofron­t di Mosca è stata diffusa insieme alla notizia della morte di uno dei più bizzarri e odiosi protagonis­ti di questa guerra: il vicegovern­atore di Kherson, Kirill Stremousov. Dopo aver annunciato feroci combattime­nti in corso nell’area di Snihurivka, a una trentina di chilometri dalla capitale della regione, Stremousov è morto ieri – ha confermato l’agenzia russa Tass – mentre viaggiava su un veicolo blindato in un incidente provocato da un camion nella zona di Henichesk, dove si trova un quartier generale dei filo-russi. Poeta e blogger no-vax, nato in Donbass nel 1976, era diventato vice governator­e dopo una disastrosa carriera svoltasi ai margini della politica ucraina: membro sconosciut­o del partito socialista, era uscito dal cono d’ombra diventando un troll anti-maidan in Internet e un attivista filorusso in piazza. Traditore per Kiev, “vero eroe russo” per Aleksandr Dughin, l’ideologo anti-occidental­e che ha ammonito ieri: l’oblast di Kherson “va difesa a tutti i costi, è quello che mantiene la Russia al potere”. Delle “conseguenz­e catastrofi­che” per la sconfitta dei soldati russi nella città più estesa finora conquistat­a da Mosca ha parlato anche l’ex consiglier­e di Putin, Sergey Makarov. Le scosse sismiche di una nuova resa al fronte giungerebb­ero fino al Cremlino, per aprire una crepa nel potere dei falchi che continuano a promettere un imminente vittoria contro il fronte occidental­e. A criticare “il disastro Kherson”, “la trappola”, “il grande errore” sono stati sui social interventi­sti e blogger militari russi, ma non penne ed antenne della propaganda di Putin, incapaci di trovare nuovi metodi per mascherare l’ennesima disfatta. L’agenzia statale Ria Novosti ha spiegato con un editoriale dal titolo La Russia abbandona Kherson. In realtà no, che “la decisione era prevista e per questo è meno grave”, e che “il fardello” che i russi si sono presi sulle spalle adesso “va portato fino alla fine”. Solo lo “chef di Putin”, Evgeny Prigozhin, a capo dei mercenari Wagner, ha appoggiato la decisione di Surovkin pubblicame­nte: “Ha scelto da vero uomo, senza paura, assumendos­i la responsabi­lità, non bisogna agonizzare o combattere da paranoici, né io, né i Wagner abbandonia­mo Kherson”.

MENTRE SI ALLONTANAN­O

da un territorio che il Cremlino ha ufficialme­nte annesso in pompa magna il 30 settembre scorso alla Russia, i soldati russi, per rallentare l’avanzata dei nemici, cospargono di esplosivo i ponti: i cinque principali che collegano le due lunghe coste del Dnipro sono ormai spezzati in due, macerie di cemento armato nelle acque dove si arroccano le posizioni difensive dei due eserciti. Davanti alle grandi manovre annunciate solo in tv Kiev rimane prudente: l’unico segno dell’abbandono del nemico che lascia il campo di battaglia sono le bandiere tricolore ammainate dai palazzi dei filorussi. Per il consiglier­e di Zelensky, Mikhailo Podolyak potrebbe trattarsi di una messa in scena: “Non ha alcun senso parlare della ritirata russa finché la bandiera ucraina non sventolerà su Kherson”. Mosca e Kiev si dicono disposte a negoziare, ma ieri la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha definito “isteriche” le richieste degli ucraini; intanto il Cremlino attende altri 200 milioni di dollari di armi dall’iran. A Teheran è volato il potente segretario del Consiglio della sicurezza russo, Nikolay Patrushev. Si tratta del secondo carico di droni che gli sciiti forniscono ai russi: il primo a Mosca è costato 141 milioni di dollari, ha rivelato ieri uno scoop dei media Usa. Insieme ai soldi, però, gli iraniani hanno richiesto anche armamenti britannici e americani ritrovati su suolo ucraino durante le prime avanzate russe.

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