.L’UOMO E L’AMBIENTE,. .L’ETICA DELLE VIRTÙ.
ESISTENZE A RISCHIO Pandemie, catastrofi climatiche, guerre: il mondo si ribella alle storture imposte dall’umanità, che minacciano la nostra sopravvivenza. Serve un nuovo comportamento per l’equilibrio perduto
Qual è il posto dell’uomo nel mondo? Una lunga tradizione lo ha concepito come culmine della creazione e, a seguire, un microcosmo posto al centro di un macrocosmo che tutto rispecchia in sé. Potrebbe valere il contrario: lo rispecchia semplicemente perché ne è momento e parte.
Si tratta di una centralità presunta – la sua apparizione stessa è casuale –, eppure in un certo senso l’uomo se l’è conquistata durante il suo percorso evolutivo, “cominciato in Africa circa 6 milioni di anni fa, che ha portato l’homo Sapiens a essere dove è oggi”. In questo processo ha acquisito funzioni e caratteri propri che non solo lo distinguono dagli altri viventi, ma tali che gli hanno concesso di prendere distanza dalla natura riducendola a oggetto delle sue azioni fino a elevarsi, si può dire, su di essa. L’uomo, infatti, è tra gli enti quell’ente di natura in cui questa è pervenuta alla consapevolezza di sé. (…) Nella storia della Terra
il Sapiens è, dunque, un evento relativamente recente, eppure solo in lui la natura ha appreso d’essere natura; infatti è stato l’animale-uomo che, operando su di essa, ne ha portato a mano a mano alla luce le leggi che la governano. Un tale processo è, però, tutt’altro che un’astrazione: se, infatti, la natura è pervenuta alla conoscenza di sé nell’uomo, ciò è potuto accadere perché l’uomo è anche l’ente artificiale per natura: opera su di essa, la modifica e nel contempo costruisce costantemente se stesso. Ogni vivente per vivere si adatta all’ambiente ma l’uomo è, soprattutto, colui che adatta l’ambiente a sé; almeno molto di più e più radicalmente di quanto facciano gli altri viventi. (…) Pare oggi che il medesimo processo evolutivo che ha permesso al Sapiens di guadagnare il centro lo riporti, paradossalmente, al margine o quantomeno lo costringa a ridefinire il suo posto nel mondo. L’uomo è e resta un ente di natura – come tale in balìa delle sue potenze; per un altro verso, scoprendo le leggi che la governano, ne ha violato il segreto e, unico tra i viventi, si è messo nelle condizioni di impiegare le forze naturali giocandole a suo vantaggio. In realtà lo ha fatto, fin dalla sua apparizione, per tutelarsi dalla violenza della stessa natura che, in perpetua trasformazione, come genera così pure, ciecamente, distrugge.
È UNA NATURA AMICA E NEMICA, è, come dice Leopardi, “madre benignissima” e insieme “matrigna”: genera enti che per vivere sono costretti a difendersi e contenerla. In queste pagine, tratteggio la lotta che l’uomo ha condotto per la sua sopravvivenza: una lotta che nasce perché, a quanto pare, l’uomo detiene in modo più alto che gli altri viventi un particolare sapere, quello della morte. (…) La vita è, infatti, apertura al possibile e la morte – quale chiusura di ogni possibilità – non è tanto quella effettiva che giunge alla fine, bensì si pone al centro della vita secondo il detto cristiano Media vita in morte sumus. Ma l’uomo in quanto vivente respinge la morte e, dal momento che non può vincerla, si adopera per differirla e nel tempo si è attrezzato allo scopo. In un contesto in cui le minacce all’esistenza giungono da ogni parte, l’uomo per proteggersi ha dovuto sviluppare strategie adeguate al bisogno e così il timore della morte – in tutte le sue diverse forme – ha generato sapere: la necessità di dover comprendere, contrastare, prevedere. (…) Nel tempo l’organizzazione sociale e il sempre più potente apparato tecnologico hanno reso più facile il differimento della morte – fino a portarla alla dimenticanza (...). In ogni caso, gli uomini – per quel tanto che possono – desiderano vivere il più a lungo e il meglio possibile sulla terra. (...) Tutto ciò spinge a una sempre più forte manipolazione dei cosiddetti processi naturali spontanei per amministrarli, guidarli, orientarli al miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo sulla terra. Di qui, e paradossalmente, un naturale dispiegarsi dell’artificiale per niente opposto, come parrebbe, alla natura, per il semplice fatto – non bisogna dimenticarlo – che l’uomo è per natura lui stesso artifex. La tecnica ha consentito all’uomo di realizzare cose prima impensabili, ma proprio un tale balzo in avanti va generando anche controfinalità. (…) L’impronta dell’essere umano sul pianeta è stata così profonda da giungere a mettere a repentaglio l’esistenza stessa della nostra specie. Gli sconvolgimenti climatici, gli squilibri economici con le conseguenti grandi migrazioni sono chiari segni di un mondo che si ribella alle storture impostegli. A questo titolo, si può parlare di fine dell’antropocene: l’uomo ha perso il centro per un verso perché la natura ha imposto il suo alt, per un altro verso perché è oltrepassato dai suoi stessi prodotti. (...)
La recente pandemia di Covid-19 ha fatto da acceleratore a tutto ciò e ci ha costretto, a forza, a prendere seriamente in considerazione queste trasformazioni e quindi a cercare uno stile di vita compatibile con l’abitabilità del mondo. Ma sarebbe superficiale considerare il Covid-19 un episodio di passaggio, perché lo stato di polluzione della terra lascia pensare che molti altri focolai si possano accendere. Nell’arco di poco meno di un secolo si è passati da una prospettiva pantoclastica al terrore della catastrofe ecologica, anche se l’incubo nucleare non è affatto cessato; anzi, venti di guerra continuano a spirare e il mondo ne è divenuto teatro permanente. (...)
Tutto ciò chiama in causa direttamente le condotte umane e per evitare esiti catastrofici l’uomo deve trovare un nuovo equilibrio, un modo di stare nel mondo, perché una pratica dell’eccesso, una dimenticanza dei propri limiti è in ultima analisi un danno che l’essere umano si autoinfligge e può culminare in un vero e proprio suicidio della specie. Ma come raggiungere il punto di equilibrio, quel giusto mezzo – mesòtes –fra autotutela e tutela del mondo? Quale deve essere la bussola da tenere come guida mentre ci addentriamo in un futuro incerto come non mai?
Questo saggio s’incentra proprio sull’etica delle virtù. Già gli antichi avevano individuato in essa i cardini per un’esistenza ben vissuta. Spesso la parola virtù richiama alla mente l’idea di un’autolimitazione, ma ciò è frutto di un lungo equivoco. Al contrario, la virtù non deve essere confusa con una sorta di castrazione, un’imposizione dall’esterno, bensì è l’unico modo per dare una forma armoniosa alla propria vita divenendo soggetti, titolari delle proprie azioni senza cadere in balìa delle spinte incontrollate, di impulsi e desideri, questi, sì, ben sfruttati dall’esterno per asservire. Ora, il comportamento virtuoso può essere osservato sotto vari aspetti. In questo saggio viene presa in considerazione dapprima la condotta degli individui rispetto a se stessi: si tratta in breve di ciò che Aristotele chiama le “virtù del carattere”. Ma la formazione del sé non può essere separata dalla relazione sociale, e di qui una disamina delle virtù civili. Primo il coraggio, che non risiede solo nella capacità di affrontare in generale i pericoli, ma è anche il coraggio della verità, vale a dire il sentirsi obbligati a intervenire nella vita pubblica denunciando i comportamenti lesivi del bene comune e indicando quelli che possono concorrere a un suo miglioramento. (...). Attraverso la pratica privata e pubblica delle virtù, gli uomini possono ritrovare o comunque mantenere l’armonia con se stessi, con gli altri, con il mondo. Per ripristinare un equilibrio per molti versi in bilico, è dunque necessario adottare una diversa forma di vita, una sorta di ecologia della mente; né tanto meno si può immaginare una salvaguardia del pianeta se privi di essa. (...)
“Viviamo – dice Spinoza – in un continuo cambiamento” (in continua vivimus variatione), e per conservarsi e realizzarsi è necessario saper trarre dallo stato di disordine la spinta a instaurare nuovi e superiori equilibri, quando non addirittura creare disordine perché ciò che è decrepito precipiti e si aprano nuovi orizzonti. In ogni caso e in ogni tempo l’umanità per preservarsi ha dovuto trovare – bene o male – la sua misura ed è inevitabile che lo faccia oggi e in avvenire.