PREFERISCO LE STORIE DEL PUB “Califano sapeva raccontare le donne meglio di noi stesse”
Escono domani i saggi inediti “La letteratura oggi delude” Claudia Gerini Con il quartetto d’archi dei Solis, porta a teatro “Qualche estate fa”, dedicato all’artista romano
Anticipiamo uno stralcio di “Appetito per il mondo” di Peter Handke, una raccolta di “saggi su letteratura, cinema e teatro”, finora inedita, in uscita domani con Meltemi.
La letteratura è stata per me a lungo lo strumento con cui crearmi un’immagine se non chiara, perlomeno più chiara di me stesso. Mi ha aiutato a maturare una consapevolezza di esserci, di essere nel mondo. A dire il vero avevo già sviluppato una consapevolezza di me stesso prima di iniziare a occuparmi di letteratura, ma è stata la letteratura a farmi capire che tale consapevolezza non era un caso unico, una coincidenza, una malattia. Senza la letteratura tale consapevolezza mi aveva colto per così dire di sorpresa, era qualcosa di terribile, vergognoso e osceno; lo sviluppo naturale mi pareva una deviazione morale, un’onta, un motivo di vergogna, perché mi credevo il solo a perseguirlo.
È stata la letteratura a rendermi consapevole di tale consapevolezza, a mostrarmi che non ero un caso unico, che anche ad altri capitava lo stesso. Lo stupido sistema educativo che i delegati dell’autorità di turno hanno adottato anche con me, come con tutti, non poteva più disporre veramente della mia persona. E così, di fatto, non sono mai stato educato dagli educatori ufficiali, ma ho sempre fatto sì che fosse la letteratura a cambiarmi. È stata la letteratura a interrogarmi, a cogliermi di sorpresa, a rivelarmi fatti di cui non ero consapevole, o lo ero solo in modo distratto. La realtà della letteratura mi ha reso attento e critico rispetto alla vera realtà. Mi ha illuminato su me stesso e su quel che accadeva attorno a me.
Da un’opera letteraria mi aspetto una novità, qualcosa che mi trasformi anche in minima parte, che mi renda consapevole di una possibilità non ancora pensata, una realtà non ancora consapevole, una nuova possibilità di vedere, parlare, pensare ed esistere. Da quando ho capito di poter cambiare me stesso con la letteratura, che la letteratura mi ha reso un altro, mi aspetto sempre da lei una nuova possibilità di cambiamento, perché non mi ritengo affatto immutabile. Dalla letteratura mi aspetto la distruzione di tutte le visioni del mondo che appaiono come tali. E poiché ho capito di aver cambiato me stesso grazie alla letteratura, e che solo con la letteratura ho potuto vivere in modo più consapevole, sono anche convinto di poter cambiare gli altri con la mia letteratura. Kleist, Flaubert,
Dostoevskij, Kafka, Faulkner, Robbe-grillet hanno cambiato la mia consapevolezza del mondo...
Da un po’ di tempo la letteratura che viene scritta non ha più niente a che vedere con me. Probabilmente perché mi trasmette solo cose note, pensieri noti, sentimenti noti, metodi noti, ovvero: pensieri e sentimenti noti, e questo perché i metodi sono noti. Non riesco più a sopportare una storia nella letteratura, per quanto colorata e fantasiosa essa sia, anzi una storia mi risulta tanto più insopportabile quanto più è fantasiosa. Preferisco ascoltare storie parlate, raccontate nel tram, in un pub, o vicino al camino. Ma non sopporto nemmeno più quelle storie in cui apparentemente non succede nulla. Questa incapacità di tollerare una storia ha sicuramente un lato emotivo; mi sono semplicemente stancato delle storie, della fantasia. Ma mi sono anche reso conto che la letteratura non è per me invenzione né fantasia. La fantasia mi sembra arbitraria, non verificabile, qualcosa di privato. Distrae, al massimo intrattiene, e proprio perché intrattiene soltanto non mi diverte nemmeno più. Le storie mi distraggono dalla mia storia reale, la finzione mi fa dimenticare me stesso, la mia situazione, mi fa dimenticare il mondo. Ma se una storia deve raccontare qualcosa di nuovo, allora mi sembra che il metodo di inventare una storia sia diventato inutile. In generale mi sembra che il progresso della letteratura consista in una rimozione graduale della finzione, in quanto inutile. I ponti stanno cadendo, le storie stanno diventando superflue, l’invenzione sta diventando superflua, mentre acquista importanza la comunicazione di esperienze, esperienze del linguaggio. A prima vista può quindi sembrare che la letteratura stia perdendo la sua qualità di intrattenimento, perché non esiste più una storia che fa da ponte con il lettore. Parto tuttavia dalla mia esperienza di lettore. Io non voglio dover “entrare” in una storia, non ho bisogno di camuffamenti per le frasi, a me interessa ogni singola frase. Il metodo del realismo, così come è in voga al momento, mi sembra esaurito...
Non ho soggetti su cui scrivere, ho solo un soggetto: ottenere maggiore chiarezza su me stesso, conoscermi o non conoscermi, capire cosa faccio male, cosa penso male, cosa penso in modo distratto, cosa dico in modo distratto, cosa dico in modo automatico, e cosa anche gli altri fanno, pensano, dicono in modo distratto; diventare attento e vigile, rendere gli altri più sensibili, ricettivi e accurati e diventarlo io stesso, anche affinché tutti possiamo esistere in modo più accurato e sensibile, affinché io possa comunicare e rapportarmi meglio con gli altri. Non posso essere uno scrittore impegnato perché non conosco un’alternativa politica (al massimo una anarchica) alla realtà, qui e altrove. Non so come questa realtà dovrebbe essere. Conosco solo dettagli concreti che vorrei fossero diversi, ma non riesco a formulare nulla di completamente diverso, di astratto. E del resto, come scrittore, non mi interessa neanche poi tanto farlo.
Riflessioni di un premio Nobel “Non posso essere uno scrittore impegnato perché non conosco un’alternativa politica (al massimo una anarchica) alla realtà”
Un palco, il quartetto d’archi dei Solis, un po’ di follia (“Solo un po’? Direi tanta”). E soprattutto le canzoni di Franco Califano: è la sfida di Claudia Gerini con il suo nuovo spettacolo, Qualche estate fa, al Teatro Vittoria di Roma per la regia di Massimiliano Vado.
Perché il Califfo?
In realtà sono stati proprio i Solis a coinvolgermi: sono loro ad aver pensato a me per ragionare su una passeggiata nel mondo di Califano; per loro una donna avrebbe raccontato meglio di un uomo la magia dei suoi brani.
Intanto un uomo che canta il Califfo rischia di cadere nella sua imitazione, di perdersi nel confronto, quando nessuno si può avvicinare alla profondità di Califano. Insomma, l’effetto karaoke.
Esatto; (sorride) poi quando qualcuno mi invita a ballare o a contare, divento una donna felice.
Califano va anche un po’ recitato.
Per questo ho scelto un’interpretazione molto personale, in uno spettacolo costruito in maniera semplice: ci sono io, accompagnata da quattro archi e ogni brano è introdotto da un breve monologo, in cui ogni volta divento una donna diversa, dalla barbona alla prostituta fino alla mamma. Lo ha mai conosciuto? Cambia tono) Sìììì;
(pausa) un paio di anni prima della sua morte l’ho incontrato dietro le quinte di uno studio televisivo. Lui elegantissimo. Bellissimo.
Bellissimo?
Vabbè, nella sua interezza, nel suo essere così affascinante con quel viso da indiano; (cambia tono) appena mi ha visto è partito con i complimenti, con la seduzione e siccome a quel tempo collaborava con Federico (Zampaglione, suo ex compagno, ndr), e proprio Federico era vicino a me, lo ha guardato e bollato: “Aoh, ma come hai fatto a mettete co’ questa? Come ce sei riuscito?”. Proprio Zampaglione racconta di Califano che piangeva davanti al tramonto: “Me commuove sempre”.
Aveva un’anima sensibile: certe storie personali, certe cadute in alcuni periodi, hanno intaccato la sua grande poesia.
Con l’interpretazione e la recita dei suoi testi cosa ha scoperto?
A volte mi commuovo, mi viene da piangere, in particolare con Roma nuda, Minuetto o La musica è finit a: sento sempre un groppo alla gola.
Sono tre brani difficili.
Eh, lo so. Infatti sono matta, matta.
La vostra è un’operazione di recupero della memoria. Lei teme mai di venire dimenticata tra molti e molti anni?
(Sorride) Be’, avrebbero ragione, ci saranno altre attrici; (pausa) in realtà non ci ho mai pensato, però il cinema ti rende immortale, anche oggi si guardano film di cinquant’anni fa; (cambia tono, prende tempo) no, non ho questa angoscia, mi dimenticassero pure.
Per cosa verrà ricordata?
(Subito) Viaggi di nozze poi aggiungo La sconosciuta e La passione di Cristo; La passione è un film un po’ leggendario, visto in tutto il mondo.
Non ha menzionato Tapirulàn, suo primo lungometraggio da regista. Lì mi sono lanciata, ed è andata bene, è stata un’esperienza super; (pausa) certo, sono stata un po’ un caterpillar.
Lo è?
Non mi ferma nessuno, ho un forte istinto di portare a casa la giornata, succeda quel che succeda; (pausa) sono tanti anni che sto nel mondo dello spettacolo e per fortuna conservo la voglia di mettermi in gioco. Torniamo a Califano: come ha scelto i pezzi? Selezionati dai Solis, ho aggiunto solo Roma nuda .E sono tutti dedicati alle donne o scritti per loro.
Ne era un gran conoscitore.
Ci ha raccontato meglio delle donne stesse.
Come starà prima del sipario?
Ogni volta mi racconto che in sala c’è un pubblico che ha scelto di uscire di casa, di spendere soldi e tempo per stare a teatro. E che devo ricompensarlo.
‘‘ Franco aveva un’anima sensibile, ma certe cadute hanno intaccato la sua grande poesia