Factory: il “glorioso fallimento” post-punk inizia coi Joy Division
Un saggio ripercorre la storia dell’etichetta indie
“In un mondo di cartelloni e di coglioni, una stella luccicante spunta su di un mucchio di letame: la canzone”, disse in epoca pre-social network Tony Wilson (nella foto), fondatore della Factory Records, parlando della sua creatura con la quale agli inizi degli anni Ottanta, in pieno thatcherismo, rigenerò una città in declino come Manchester, dal punto di vista culturale ed economico, rendendola almeno per una stagione il centro del mondo, al pari di Londra e New York.
LA STORIA DELLA FACTORY
Records coincide con quella del suo fondatore, “un anti-imprenditore” capace di portare alla ribalta band come i Joy Division, mai con l’obiettivo di trarne profitto. Si capisce la scelta di inserire un ossimoro nel titolo del suo nuovo libro dedicato alla Factory Records – “un glorioso fallimento” –, da parte di Fernando Rennis, scrittore alla sua quarta fatica, dopo l’ottimo Politics. La musica angloamericana nell’epoca di Trump e della Brexit, che ha da poco pubblicato Un Glorioso Fallimento – L’eterno presente della Factory Records, uscito per i tipi di Arcana, in cui ripercorre l’epopea dell’etichetta britannica mettendone in risalto gli estremi di quell’esperienza umana: il fallimento, l’estasi, la morte, l’edonismo. “Lo scopo iniziale – spiega Rennis – era capire come una piccola etichetta che è durata solo 14 anni, e che è stata gestita malissimo, sia riuscita a diventare così importante per la storia della musica britannica e a essere un modello per tutte le etichette indie che sono nate in seguito. Il mio interesse – prosegue – nasce da una questione anagrafica al contrario, in quanto avevo appena quattro anni quando la Factory chiuse i battenti. A un certo punto, mi sono ritrovato circondato da dischi, volumi, gadget legati a questa etichetta a cui si deve la nascita di band importanti come Joy Division e Happy Mondays, fino agli Oasis e agli Arctic Monkeys, ed è cresciuta la curiosità di capire come sia riuscita a conquistarsi l’eternità in pochi anni di vita”. Fondata nel 1978, nel vuoto dell’incertezza post punk, la Factory Records è gestita da un collettivo indipendente inesperto, ma idealista e alla ricerca del progresso. In assenza di qualsiasi scopo di profitto, ogni individuo è libero di perseguire il proprio ideale di ciò che può essere. Raccogliendo fatti legati alla Factory e pareri di giornalisti come Dave Simpson del Guardian, del critico Simon Reynolds o di esperti in materia come il produttore Simon Raymonde, Rennis, con una scrittura fluida e un buon ritmo, ci fa fare un salto indietro nel tempo, un viaggio al termine del quale si comprende perché “nella musica l’unico giudice è l’istinto e non esiste fallimento”.