“Kherson: ritirata, tranello o base per una trattativa”
“In guerra non si annuncia mai quello che si sta per compiere. Sul piano tattico si facilita il nemico avvertendolo in anticipo delle proprie azioni, si scopre il fianco poi, in un momento delicatissimo e di vulnerabilità come quello del ritiro”. Al generale Marco Bertolini, ex responsabile del Comando operativo del vertice interforze e Brigata Folgore, è sembrata “strana” la scelta del ministro della Difesa russo, Sergey Shoigu, e del generale Sergey Surovikin, che due giorni fa hanno ordinato ai loro soldati di abbandonare Kherson e di ritirarsi sulla riva sinistra del Dnepr. “Se lo hanno fatto – asserisce il generale – possono aver avuto tre motivi”.
Partiamo dal primo.
Il primo è di carattere logistico: forse c’è un effettiva difficoltà dei russi ad alimentare le truppe sulla riva destra del Dnepr, l’esercito ha bisogno di recuperare o salvare forze dinanzi a una prevista controffensiva nemica. Che la questione Kherson fosse difficile si sapeva dall’inizio: è separata dal vastissimo fiume Dnepr dal resto del territorio sotto controllo di Mosca, infatti sono i ponti che collegano le due coste l’obiettivo dell’artiglieria ucraina. Un’altra possibilità del ritiro delle truppe del Cremlino è di carattere politico: che ci siano tentativi di negoziato o più disponibilità alle trattative ormai non è più un segreto, Mosca e Washington non hanno mai smesso di parlare, nonostante tutto quello che succedeva sul campo. Adesso, dopo le elezioni in Usa, il potere di Biden sul Congresso non è più assoluto. E i russi, davanti alla prospettiva dei colloqui o un’ulteriore escalation, potrebbero aver ceduto un obiettivo importante. Kherson può essere l’innesco di una trattativa: adesso Zelensky può essere invogliato a sedersi al tavolo della tregua con un altro risultato, sia politico che militare, oltreché di immagine, molto importante.
Rimane ancora un’ultima ipotesi.
L’ultima ipotesi è un piano d’inganno, che è standard in tutte le operazioni militari. Viene comunicata l’intenzione di un’operazione, ma la manovra effettiva avviene in formula diversa da quanto annunciato, proprio come ha fatto Kiev prima della controffensiva per la riconquista di Kharkiv.
Intanto continuano a cadere missili.
Se i russi si ritireranno da Kherson bisogna comunque aspettare la primavera per cambiamenti significativi: questo non vuol dire che d’inverno ci sarà stasi operativa sul fronte. Comunque i negoziati si fanno durante i combattimenti e sono l’unica via per non arrivare a un’escalation che provocherebbe una catastrofe generalizzata, che coinvolgerebbe anche la Nato. Rischiamo altrimenti una guerra infinita che va avanti per decenni come in Afghanistan, dove entrambi i fronti sono riforniti dall’esterno fino al dissanguamento. Chiunque vinca, Ucraina o Russia, noi europei possiamo già mettere in conto che le condizioni in cui vivevamo prima del conflitto, non torneranno mai più.
Occorre negoziare anche durante i combattimenti: altrimenti sarà una catastrofe