Il Fatto Quotidiano

Intelligen­za e conoscenza come via d’uscita contro conflitti e disuguagli­anze

Opporsi alla fabbrica del mero consumo

- » TOMASO MONTANARI SEGUE DALLA PRIMA SPECIALE

Aveva ragione, e proprio per questo è urgente imparare a pensare di più, e meglio: mentre una guerra mondiale a pezzi incendia l’europa, la leva dell’intelligen­za ci pare l’unica via d’uscita. Nello stesso modo, in un’italia e in un mondo in cui le diseguagli­anze aumentano al punto tale da disegnare una scena in cui pochissimi sono i padroni, e tutti gli altri sono schiavi, l’unico strumento di emancipazi­one è la conoscenza.

Don Lorenzo Milani sferzava così i suoi amatissimi ragazzi: “Siete proprio come vi vogliono i padroni: servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1.000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato a essere sempre servo!”. Per questo restituire a tutte e tutti la parola è un atto rivoluzion­ario. E, ancora più profondame­nte, in un Occidente che ci vuole tutti disciplina­ti consumator­i, per non rinunciare a essere felici, per non gettare via la nostra vita, è necessario provare a essere umani. Ed essere umani – ha scritto David Foster Wallace – “richiede attenzione, consapevol­ezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri... Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativ­a è l’inconsapev­olezza, la modalità predefinit­a, la corsa sfrenata al successo”.

Serve, dunque, una scuola capace di dare alle cittadine e ai cittadini del futuro gli strumenti per “afferrare il vivente” (Marc Bloch): non per aderire acriticame­nte al presente, ma per comprender­e la misura umana – o disumana – del nostro tempo. E possibilme­nte per cambiarla. Così, abbiamo pensato a un corso introdutti­vo che offra un alfabeto sociale fondamenta­le, e poi – per il primo anno – a tre percorsi.

Il primo è dedicato alla grande questione del nostro tempo, su cui ci giochiamo presente, passato e futuro: quella della giustizia ambientale. Abbiamo ormai capito che, o cambiamo stile di vita, rapporti di forza, modello di sviluppo, oppure abbiamo gli anni contati, come umanità, e come pianeta. È questo il momento di fare la differenza: e la differenza la fa una opinione pubblica che ne sappia più di coloro che governano.

Il secondo percorso nasce dalla necessità di comprender­e quel che sta drammatica­mente avvenendo sotto i nostri occhi: la pace è finita, e il lunghissim­o dopoguerra, che ha garantito pace e prosperità ai popoli occidental­i (a spese di tutti gli altri), si è chiuso per sempre. Scegliere le fonti, saperle interpreta­re, argomentar­e le proprie opinioni: è il primo passo per non subire la direzione che il mondo prenderà.

Il terzo percorso parte dalla consapevol­ezza che viviamo in post-democrazie in cui la libertà è condiziona­ta, e la sovranità popolare è solo una dichiarazi­one di principio. È urgente cambiare: rifondare una cittadinan­za attiva che faccia politica. Non per diventare profession­isti della politica, ma protagonis­ti della democrazia, della libertà, della giustizia.

Quante volte ci siamo chiesti, e continuiam­o a chiederci, come sarà mai possibile cambiare davvero questo amatissimo, ma impossibil­e, Paese? Come costruire un senso dello Stato? Come formare un’opinione pubblica capace di controllar­e chi governa in suo nome, e di rifiutare un giornalism­o servile e compromess­o col potere? Come far crescere cittadine e cittadini che abbiano davvero a cuore il bene comune, l’interesse generale, e non solo il proprio particular­e? Sono tante domande, ma la risposta è la stessa: una vera formazione al pensiero critico. Una scuola.

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