GLI INTELLETTUALI CI SONO, CERTO, MA NON SANNO FARE “SCANDALO”
La filosofa Donatella Di Cesare, che stimo senza riserve, mi ha rivolto una lettera garbatamente critica in riferimento alla mia lamentazione circa l’assenza della voce degli intellettuali nella crisi profonda che vive la democrazia italiana e la prospettiva della sinistra. È vero: la mia affermazione aveva un sapore sbrigativo, poco analitico; lasciando così lo spazio a qualche ambiguità. Cerco di spiegarmi meglio. Il pensiero critico anche oggi è promosso da personalità di grande valore. Non penso solo alla produzione dei centri studio, alla ricerca scientifica, alle riviste che fioriscono. Piuttosto a quelle pratiche di lotta e di pensiero che riescono a fondersi soprattutto nella militanza giovanile e femminile. La mia osservazione riguardava il fatto che tutto ciò, purtroppo, non riesce a fare “scandalo” pubblico. A contrastare le idee dominanti. A muovere l’insieme dell’opinione pubblica. Da anni siamo sotto scacco rispetto alle idee e ai miti dominanti. Anzi, per certi aspetti, ne siamo stati attraversati; finendo per accontentarci della riduzione del danno.
Nel libro, A sinistra. Da capo , cerco di individuare le cause di questa nostra fragilità. La Rete ha fatto la sua parte riducendo la realtà a comunicazione. Una massa enorme di informazioni “orientate”, che rende difficile discernere, comprendere le differenze, darsi il tempo necessario per approfondire e ragionare. È stato più facile, così, per l’offensiva liberista cancellare il valore del passato e la progettazione del futuro. Tutto si riduce all’atto momentaneo e volubile del consumo. È la vittoria di quell'aspetto “vegetativo” del capitalismo che toglie ogni libertà allo spirito. Naturalmente a questo si è aggiunta la fragilità delle “forme” politiche della sinistra. E in particolare del Pd. Sarà questo un tema ineludibile per il prossimo congresso. Il
Pd che ha fatto del bene all’italia governando, racchiuso solo in quella dimensione, non è in grado di mettere radice nel dolore delle persone normali. Non semina lì pensiero critico e nuova coscienza. E, infine, al di là del tanto di buono che le donne e gli uomini intellettuali continuano a produrre, troppo mondo della cultura si è rinchiuso nei propri specialismi o si è accontentato di partecipare ai talk-show.
In ultimo (questo mi tocca personalmente), non ho mai considerato Pasolini una sorta di strumentale paravento o un alibi. Ero un giovane comunista, quando negli ultimi anni della sua vita, ho intrattenuto con lui un intenso rapporto culturale, politico e umano. Se oggi il Pd fatica a coinvolgere l’intellettualità, voglio ricordare come il Pci diffidò e rimase distante dalle idee e dall’azione del grande “Eretico”.
Pasolini, nella sua spietata denuncia politica, si sentiva poco compreso e isolato. Fummo noi, ragazzi della Fgci (Borgna, Veltroni, Adornato) ad aprire un varco. E lui ci ripagò. Nel 1975 scrisse una dichiarazione di voto per il voto al Pci alle elezioni regionali, pronunciata dal vivo con solennità e emozione. Egli disse che in un Paese sporco, solo i giovani comunisti rappresentavano uno spazio di pulizia, di speranza e di innocenza. Non fu affatto facile la vita di intellettuale per Pasolini. Mise in gioco anche il suo corpo. Che disse essere stato letteralmente attraversato dal fascismo. Dalla sua violenza e anarchia. Come poi rappresentò nel suo ultimo splendido film, Salò. Evocare Pasolini significa spingere tutti, a partire dai politici di sinistra, a un maggiore coraggio. E capire, come conclude Di Cesare la sua lettera: “Non ci può essere una ricostruzione della sinistra senza una grande ricostruzione culturale. Mancano le scuole politiche, manca il pensiero”. Non si poteva dire meglio. Abbiamo perso da tempo l’egemonia ideale, e subito a seguire, una mancanza di forza elettorale e politica.
LA RISPOSTA A DI CESARE: DA ANNI SIAMO SOTTO SCACCO RISPETTO ALLE IDEE E AI MITI DOMINANTI