Profondo Blues: il Boss celebra i miti neri del Soul
DEGNO DI NOTA Springsteen firma un album di cover “Only the strong survive”: è un omaggio (in 15 canzoni) all’r&b e alle sue voci uniche, da King alla Franklin
L’Uomo, lo Studioso, il Devoto, l’interprete. Quattro ruoli per Bruce Springsteen, in un tributo lungo 15 canzoni – Only the strong survive –alla maestà del Soul e del Rhythm & Blues.
L’uomo ha 73 anni, e nessuna voglia di andare in pensione. Però il tempo che passa gli impone fretta e responsabilità, mentre la memoria gli scava l’anima come un roditore che non sai stanare. L’incessante dialogo con gli amici perduti lo aveva immalinconito nell’album Letter to you, una liturgia dell’assenza resa ancor più elegiaca dai confinamenti della pandemia. Così lo Studioso aveva deciso, nelle notti infinite del lockdown, di rovesciare il mood riaprendo i cassetti dove erano stati stipati i 45 giri del Grande Catalogo Pop americano, i classici black Motown e Stax, le etichette che negli anni 60 e 70 fabbricavano cose destinate alle vertigini danzerecce, le profferte sessuali avventurosamente inseguite, la dolce ala della giovinezza, e chissenefrega se alla fine ti chiudevi nella stanzetta a elaborare lo smacco. Ere geologiche irrimediabilmente trascorse, i ritmi orecchiati per caso alla radio o cercati con una monetina dentro i juke-box, con la dichiarata frustrazione di non aver la pelle nera. Solo le leggendarie Voci di colore, in tre minuti, sapevano offrirti la sensualità, la disperazione e le risonanze di un’antica marginalità riscattata dalla pienezza vitale.
BRUCE, LO STUDIOSO, aveva già avvicinato e tramandato il repertorio nazionale Usa, ma quello del folk bianco (le Seeger Sessions), nel 2006: più di recente aveva traversato le spiazzanti pianure del country – gli arrangiamenti morriconiani – in Western Stars .E naturalmente, per tutta la carriera si è messo al servizio dell’immaginario rock. Elvis ne era stato il mitologico Re, ma anche lì si era consumato un furto, uno scippo culturale ai danni dei neri, con i fondatori Chuck Berry e Little Richard segregati nei prodotti da ghetto.
Ora, per onorare un vecchio pegno, all’uomo e allo Studioso Springsteen non è rimasto che chiamare in scena il Devoto e l’interprete: che al Soul riconoscono il primato, il valore esperienziale di un’america che con un dischetto officiava il sogno per chiunque si avvicinasse, purché fosse disposto a lasciare ogni pregiudizio sulla soglia del tempio R&B, o nella ballroom.
Stavolta Springsteen ci ha messo giusto la voce e si è inoltrato trepidante nelle cover. Ha affidato tutti gli strumenti al produttore Ron Aniello, tirato dentro i fiati, si è circondato di coristi. Per il labour of love di Only the strong survive erano elementi bastevoli. Però sul palco del tour 2023 (in Italia il 18 maggio a Ferrara, il 21 al Circo Massimo e il 25 luglio a Monza) con gli impareggiabili compari della E Street Band sarà tripudio permanente. Perché questa era la colonna sonora del tempo tridimensionale di prima della musica-ciarpame, quando ogni canzone faceva mondo.
I teenager nutriti col cibo scadente della trap mai avrebbero immaginato che i loro padri godevano con Don’t play that song (il caro vecchio Ben E. King, ma anche Aretha), 7 Rooms of gloom (le armonie dei Four Tops), I wish it would rain (Temptations), Nightshift (i Commodores che evocavano Marvin Gaye e Jackie Wilson), Someday we’ ll be together (gli struggimenti di Diana Ross & The Supremes), Do I Love You, Indeed I do (l’oscura perla di Frank Wilson) o quella Soul Days in cui il Boss chiama per il controcanto il leone Sam Moore di Sam & Dave. Springsteen veste i panni del Chierichetto, nella Chiesa sconsacrata della Musica Profana. Ruberà di sicuro mezzo dollaro dalle offerte. Per far ripartire il juke-box.