“Benefici ai boss: chi non collabora spieghi perché”
ERGASTOLO OSTATIVO Gli emendamenti di Scarpinato (M5S) al decreto legge: “Permessi solo se il silenzio non è motivato da omertà o timore di ritorsioni”
Il Parlamento non avrà alibi nel momento in cui esaminerà il decreto legge sull’ergastolo ostativo ai benefici per detenuti mafiosi e terroristi che non hanno collaborato con la giustizia. Se davvero vuole che non vengano premiati detenuti mafiosi per sempre e anche stragisti ci sono gli spazi per rendere più stringente il decreto. Ieri, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, Fdi, ha detto che sull’ostativo “non si arretra”. Vedremo.
C’è una proposta dell’ex Pg di Palermo Roberto Scarpinato, ora senatore M5s, che blinda chi i benefici non li merita perché è un boss pericoloso travestito da detenuto modello. La ratio della modifica al decreto, concepita dall’ex magistrato, una vita sul fronte antimafia, è che non si possono mettere sullo stesso piano i boss-collaboratori di giustizia e quelli che non hanno mai collaborato. Non ci può essere, addirittura, un trattamento più favorevole, ai fini della concessione dei benefici, per chi non collabora. È la ragione per la quale Scarpinato propone l’obbligo per il detenuto che vuole accedere alla libertà condizionata di motivare la mancata collaborazione. Perché è così importante? Perché fornisce al giudice di Sorveglianza un elemento fondamentale per valutare se ci sia stato “l’avvenuto ravvedimento” previsto dalla legge (ex articolo 176 c.p.).
È UN CONCETTO diverso dalla pericolosità e, come ha stabilito la Cassazione, imprescindibile per la concessione di un beneficio. Basti ricordare che il mancato ravvedimento ha portato a negare richieste avanzate persino da collaboratori. Per capirci: se un detenuto che vuole la condizionale scrive che non collabora perché non fa “l’infame”, è chiaro che anche se, per ipotesi, non può avere collegamenti con la sua cosca, non è certo ravveduto.
Nella proposta M5s si dice che si può accedere alla libertà condizionata solo se la mancata collaborazione “non sia motivata dal timore di subire ritorsioni contro la propria persona, dalla volontà di non rendere dichiarazioni accusatorie nei confronti di correi e di terzi” e se non si è dichiarato il falso sulla situazione patrimoniale personale, dei familiari e di terzi con cui si ha un legame. Il decreto legge, invece, concede al detenuto il silenzio.
Ma anche questa dichiarazione è cruciale. Non a caso la legge obbliga i collaboratori a una dichiarazione scritta e se mentono si vedono revocato il programma di protezione. Quindi, senza l’introduzione di questo obbligo i collaboratori saranno svantaggiati rispetto ai detenuti mafiosi che non hanno mai parlato. Un incentivo a stare zitti.
Va da sé che il detenuto che ha scritto il falso, riscontrato dai pm cui spettano le indagini, è pericoloso, non può ottenere il beneficio. È anche un modo per “evitare un salto nel buio”, scrive Scarpinato, nel momento in cui si ha di fronte un detenuto la cui mancata collaborazione è “giustificabile” in quanto “inesigibile”, “irrilevante”, “impossibile” perché, ad esempio, oggettivamente lo Stato non è in grado di proteggere i suoi numerosi familiari che rischiano la vita. In questi casi, non si può sapere come si sarebbe comportato l’ergastolano per mafia o per terrorismo se la collaborazione fosse stata possibile: l’avrebbe scelta o no?. L’obbligo di motivare la mancata collaborazione e l’obbligo di dichiarazione sul patrimonio sono, dunque, funzionali alla verifica del ravvedimento e agli altri accertamenti: sulla pericolosità attuale o immediatamente futura del detenuto e sul risarcimento alle vittime, se non è impossibile.
IL TESTO L’ATTUALE DL CONCEDE LA FACOLTÀ DI TACERE
UNA PROPOSTA, quella firmata da Scarpinato, che è in linea con l’invito, finora trascurato, della Corte costituzionale. Sì, proprio della Corte che ha bocciato l’ostativo assoluto trasformandolo in relativo, in autonomia, nel 2019, per quanto riguarda i permessi premio. Nel 2021, invece, “sdoganando” anche la libertà condizionata, ha ordinato una riforma al Parlamento, dando 12 mesi di tempo ma, come si sa, la riforma è stata approvata solo dalla Camera. Nelle motivazioni la Corte ha scritto che “appartiene alla discrezionalità legislativa decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento (ex art. 176 c.p.), scelte fra le quali potrebbe, ad esempio, annoverarsi la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione”. Appunto.