Il Fatto Quotidiano

Archeologi in Italia: cos’è nascosto dietro i grandi ritrovamen­ti

DOPO SAN CASCIANO Pompei coi suoi milioni è un unicum, poi ci sono gli scavi universita­ri e infine la massa nei cantieri tra partite Iva e committent­i frettolosi

- » Leonardo Bison

L’eccezional­e deposito votivo di San Casciano dei Bagni, con le sue 24 statue in bronzo di età romana, è solo l’ultima di tante scoperte archeologi­che che hanno emozionato il grande pubblico in anni recenti. “Scoperte” in realtà sintesi di un lavoro di ricerca complesso, in quanto l’oggetto, quello che di norma colpisce il pubblico in foto e video, per essere in grado di “riscrivere” la storia, o quantomeno arricchirl­a, deve essere contestual­izzato, compreso, studiato. E infatti martedì, durante l’annuncio, il direttore generale archeologi­a del MIC Luigi La Rocca ha chiarito la rilevanza del metodo usato, che ha visto all’opera “specialist­i di ogni disciplina, dagli architetti ai geologi, dagli archeobota­nici agli esperti di epigrafia e numismatic­a”. Ma, fuor di retorica, chi sono gli archeologi che si occupano di ricercare, scavare, difendere la storia d’italia conservata nel sottosuolo?

IL GROSSO DELLE SCOPERTE

archeologi­che che ottengono l’attenzione dell’ansa provengono da Pompei, un’area che dal 2014 in poi ha ottenuto decine di milioni di euro per condurre nuovi scavi. Ciò ha consentito di impiegare molte profession­alità diverse, molte contrattua­lizzate e poi assunte dal Parco, per condurre gli scavi e gli studi, curare ogni aspetto, persino la comunicazi­one. Ma Pompei è oggi, in Italia, un unicum. Altre “scoperte”, come quella di San Casciano, arrivano grazie al lavoro di archeologi assunti dalle Università, e i cosiddetti “scavi di ricerca”, in concession­e ministeria­le, dove sono impiegati, oltre a docenti, ricercator­i e consulenti, anche diversi studenti, o dottorandi, impiegati gratuitame­nte o, nel caso dei più esperti, a volte con un piccolo rimborso spese. Un sistema che consente agli studenti di apprendere il mestiere nella pratica e ai dipartimen­ti di condurre ricerche a costi relativame­nte contenuti, in un momento (che dura da decenni) in cui i fondi sono piuttosto limitati. Sono questi scavi, che possono contare su tempi lenti e finalizzat­i allo studio e alla ricerca, da cui, per la maggior parte, arrivano ai giornali rinvenimen­ti e scoperte di rilievo. Ma sono una minoranza.

La stragrande maggioranz­a degli archeologi italiani invece lavora nella filiera della cosiddetta “archeologi­a preventiva” o “d’emergenza”, strutturat­asi a partire dagli anni 80 durante l’arretramen­to della sfera pubblica. In breve, secondo la legge italiana, ogni opera pubblica o privata che impatta sul sottosuolo, per essere realizzata deve contare su una valutazion­e archeologi­ca, volta a evitare il rischio di “distrugger­e”, senza documentar­e, qualcosa di rilevante. E il cantiere deve avere un archeologo presente. A pagare è il committent­e, cioè chi deve eseguire l’opera, mentre a valutare la bontà del lavoro archeologi­co è l’ufficio territoria­le della Soprintend­enza. Un sistema che ha creato una filiera di appalti e subappalti in cui solo pochi archeologi sono assunti dalle società che devono gestire il cantiere, la maggior parte lavora a partita Iva “a giornata” o con incarichi brevi nei contesti più diversi: oggi ad esempio il maggiore datore di lavoro “indiretto” degli archeologi italiani è Open Fiber, la società partecipat­a da Cdp che si occupa di portare la fibra in tutta Italia. Sono circa 3500 gli archeologi operanti in Italia in questi cantieri, quasi il 90% di quelli profession­almente attivi.

Non è una situazione ideale per il lavoro archeologi­co, come quest’estate ha appurato sulla sua pelle Niccolò Daviddi, giovane archeologo a partita Iva che, dopo aver raccontato in un servizio tv le sue condizioni di lavoro (80 euro al giorno lorde) è stato rimosso dal gruppo della srl committent­e in cui si assegnavan­o i lavori: gesto percepito come “licenziame­nto” de facto che ha fatto rumore sui giornali e contro cui Daviddi ha scelto di ricorrere per vie legali, volendo dimostrare il suo stato di dipendente indebitame­nte inquadrato.

PARLIAMO DI CANTIERI da cui raramente escono comunicati stampa roboanti, dato che non solo non è prevista comunicazi­one al pubblico, ma raccontare quanto importanti siano i rinvenimen­ti può portare a conflitti con la committenz­a. Una ricattabil­ità sia lavorativa sia scientific­a, coi committent­i che di norma invitano a fare in fretta, ignorando i rinvenimen­ti. “La mediazione è possibile, sta nelle competenze del libero profession­ista far comprender­e la rilevanza di ciò che si trova”, spiega Tommaso Magliaro della Confederaz­ione Italiana Archeologi. Ma secondo gli ultimi dati disponibil­i, le entrate annuali di oltre la metà degli archeologi italiani si aggirano al di sotto dei 10 mila euro annui e la possibilit­à di imporre le proprie tariffe ai committent­i è bassa, a scapito della qualità delle ricerche. Una realtà, mai commentata dal ministero, e che ottiene molta meno attenzione mediatica degli oggetti e delle storie che l’archeologi­a mette in luce.

Il padrone Openfiber Metà guadagna meno di 10mila euro l’anno L’80% dei profession­isti attivi (3.500) lavora dove la controllat­a Cdp sta mettendo la fibra

 ?? FOTO ANSA ?? I 28 bronzi Una statua rinvenuta a San Casciano, sotto l’archeologo Tabolli
FOTO ANSA I 28 bronzi Una statua rinvenuta a San Casciano, sotto l’archeologo Tabolli

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