Franco Antonicelli L’antifascista naturale e gentile dimenticato da (quasi) tutta la cultura “ufficiale”
Era un uomo elegante, un letterato finissimo, un editore più che illuminato: pubblicò per la prima volta Se questo è un uomo di Primo Levi, che era stato rifiutato da Einaudi. Fu un “antifascista con naturalezza, per ragione di stile e di dignità”, come scrisse Corrado Stajano anni fa. Era “un intellettuale liberal” – per citare le parole di Aldo Ricci – “che non esitò a schierarsi dalla parte della classe operaia e della sinistra anche più intransigente”. Si chiamava Franco Antonicelli (Voghera, 15 novembre 1902- Torino, 6 novembre 1974). Il fascismo lo confinò ad Agropoli, negli anni Trenta; poi si distinse nella Resistenza e venne nominato presidente del Cln (Comitato di liberazione nazionale) piemontese; dal 1968 fu senatore della Sinistra indipendente. Un intellettuale, un militante politico, insomma, che non voleva gestire il potere e nemmeno servirlo. Oggi il suo nome dice poco o niente agli italiani. Tanto più è ignorato dai media, dalla cultura ufficiale, dal mondo della politica. La vita, diceva Giovanni Arpino, è stile o errore: pertanto è ovvio che un esponente del Pd o degli altri, i Renzi o i Calenda, non conoscano ed apprezzino Antonicelli. Qualcuno, però, lo rammenta ancora. Nella sua Torino, il 15 novembre, nella ricorrenza del 120° compleanno di Antonicelli, l’unione Culturale che porta il suo nome e altri enti gli dedicheranno una giornata di omaggio. Un ricordo che ha come cuore il Palazzo Carignano di Torino, dove “nel secondo dopoguerra Antonicelli animò, con visione illuminata e opera culturale instancabile, sia il
Museo Nazionale del Risorgimento di cui fu nominato nell’estate 1946 commissario prefettizio con funzioni di presidente, conservando tale carica fino al 1962, sia l’unione culturale”.
Cesare Pavese affermò in una lettera di sapere che “uomo onestissimo e sinceramente democratico” era Antonicelli. Nel 1949, in una nota del diario, il futuro senatore appuntava: “La lettura dei giornali, e proprio degli ‘indipendenti’ mi fa quotidianamente soffrire d’indignazione, di disgusto per la loro totale mancanza di responsabilità: espressione delle classi dirigenti!”.
C’era chi lo definiva un gobettiano. Lui, nel 1962, scrivendo al leader comunista Gian Carlo Pajetta, osservava: “Eh no, ho ancora una cosa da aggiungere: finitela di definirmi un gobettiano. (...) Solo le condizioni politiche del nostro tempo mi costringono a stare in posizioni che tristemente, nel mondo borghese, a distanza di quarant’anni da Gobetti, sono ancora d’avanguardia”.
Era l’oratore, Franco Antonicelli, che nell’aprile del 1972, in un discorso pubblico a Torino in difesa dei diritti civili e del movimento studentesco del 1968, disse: “Pronunciano parole come pace, libertà, democrazia e ordine quale unica proposta nuova, dopo venticinque anni, ma confondono la pace sociale con l’ordine forcaiolo, con la messa a freno dei conflitti di classe, fingono di ignorare che la libertà materiale, fisica, assai relativa, di cui ancora godiamo è difesa giorno per giorno coi denti in ogni posto di lavoro e da pochi magistrati, da pochi insegnanti, da pochi intellettuali, e in realtà è libertà di chi e di che cosa, se non dal profitto così generosamente tutelato dalla classe dominante?”.