Ponte di Messina, Salvini resuscita la Spa infinita
Èun po’ come il “giorno della marmotta” applicato alle grandi opere, la condanna a rivivere sempre la stessa scena. La pluridecennale telenovela del ponte sullo stretto di Messina non è mai finita e così ci ha pensato Matteo Salvini a far ripartire la fiera delle idee più folli sul progetto.
Ieri il ministro alle Infrastrutture (non più “sostenibili”) ha annunciato la novità: “C’è un’altra opera che ha i suoi albori nel ’69 e potrà essere simbolo del genio e dell’ingegneria italiana nel mondo – ha detto a un evento Fincantieri – E in manovra di bilancio ci sarà la riattivazione della società che dovrà portare a compimento questo miracolo: penso al Ponte sullo Stretto di Messina. Se ci sarà bisogno chiederemo una mano anche all’ingegneria di Fincantieri”.
Insomma, si riparte con la giostra. La Stretto di Messina spa (Sdm) è la concessionaria incaricata di costruire l’opera e ha una storia travagliata visto che è in liquidazione da nove anni, dal 2013, dopo che il governo Monti fermò definitivamente il progetto. La liquidazione è stata affidata al commissario Vincenzo Fortunato, già consigliere di Stato e potente capo di Gabinetto al Tesoro con Giulio Tremonti. La concessionaria è nata nel 1981 per costruire l’opera in concessione col mitico project financing, il meccanismo per cui il privato costruisce l’opera e si ripaga con i pedaggi. Peccato però che quasi sempre è lo Stato a rimetterci. Il caso di Sdm è surreale visto che il privato era il pubblico essendo controllata dall’anas, la società pubblica delle strade e da Rfi, a sua volta controllata dalle Ferrovie dello Stato (che oggi peraltro controlla Anas). Doveva essere liquidata entro un anno e invece è ancora lì, nonostante diversi ultimatum della Corte dei conti (e vari milioni spesi). Non ha più dipendenti, l’anno scorso ha speso 200 mila euro e dispari, di cui 100mila per Fortunato, incaricato di difendere le ragioni legali dello Stato contro i costruttori.
Sdm è infatti anche il perno di un gigantesco contenzioso avviato dal consorzio Eurolink, capeggiato da Salini-impregilo (oggi Webuild) che nel 2006 ha vinto la gara per il Ponte. Il boss del gruppo, Pietro Salini, chiede allo Stato 800 milioni di penale per non avergli fatto costruire l’opera. Salini ha perso in primo grado e si attende l’appello. In questi anni tra studi, lavori preparatori, consulenze e altro, per il ponte sono stati spesi già 960 milioni (300 nel solo 2010-2013). Ora si riparte. L’ultimo atto l’aveva fatto l’ex ministro Enrico Giovannini dando 50 milioni a Rfi per stilare uno studio di fattibilità dopo che il predecessore, Paola
SPRECHI FINORA SPESI 960 MLN E SALINI SPERA NELLE PENALI
De Micheli aveva affidato a una commissione di esperti il compito di rifare una discussione chiusa 40 anni fa: meglio un ponte, un tunnel sotto il fondale (sub alveo) o ancorato al fondale (alveo)?
Cioè le opzioni del concorso internazionale di idee del
1969, chiuso 20 anni dopo con la scelta del ponte. A quel punto gli esperti si sono domandati: meglio a una o tre campate? Ora si aggiunge Salvini ad alimentare un dibattito che va avanti da 40 anni in cui l’unica cosa certa sono i milioni spesi in consulenze e studi per alimentare quella terra di mezzo fatta di professionisti e costruttori interessati alle penali che da sempre accompagna le grandi opere italiane. “C’è il dibattito – ha detto il neo ministro – se aggiornare il vecchio progetto o bandire una nuova gara. Io sono laico, a me interessa farlo, migliorare la qualità della vita e attirare la gente che da tutto il mondo quei tre chilometri e tre li verrà ad ammirare, a fotografare, a invidiare. Il mio obiettivo è che l’italia, Sicilia e Calabria diventino punto di riferimento dell’innovazione, del futuro, del green, del superamento del no”.
Salini può tornare a sperare.