Per Meloni la cura è solo materna: figli, congedi, ambiguità
Dopo aver impostato la sua figura pubblica e la campagna elettorale sul suo ruolo di madre, dopo aver portato con sé la figlia a Bali e chiesto di rispettare le sue scelte personali a chi la accusava di dare un’immagine di genitorialità non sostenibile per le altre madri, è arrivata la conferenza stampa sulla legge di Bilancio. La premier ha ribadito marcatamente la sua identificazione col ruolo materno – “è stato come fare un bilancio familiare” – e con un’idea di genitorialità che vede le madri in prima, e unica, linea. Come? Con almeno due decisioni che mostrano, però, a ben vedere, delle ambiguità.
La legge prevede un mese facoltativo di congedo retribuito all’80% e usufruibile entro i 6 anni del bambino. Nei piani, dovrebbe favorire quelle madri che, non potendosi permettere una decurtazione dello stipendio (il congedo facoltativo è retribuito al 30%), non riescono a restare a casa con i figli quanto vorrebbero. Le parole di Meloni lasciano però un dubbio: all’inizio parla di congedi parentali, poi parla esclusivamente di maternità. Questo esercizio retorico – sottendere a una cura dei figli esclusivamente materna – è ormai la norma per la premier. La differenza sostanziale, però, la farà un dettaglio: se questo mese di congedo in più sarà usufruibile da entrambi i genitori. La letteratura mostra che, al crescere della percentuale di stipendio garantita dai congedi, aumenta la probabilità che a usufruirne siano gli uomini. Questo mese pagato all’80%, a fronte dei restanti retribuiti al 30%, potrebbe essere un’occasione per redistribuire i ruoli di cura. La novità – presentata come un “salvadanaio di tempo per le madri” – potrebbe farci fare un passo inatteso e sorprendente, per quanto limitato, verso la parità, sostenuta però solo con congedi davvero parificati. Ma questa non è la sola ambiguità in termini di risorse alla genitorialità. Pochi giorni fa a un evento pubblico una persona mi ha detto “io non voglio soldi per restare a casa, voglio soldi per pagare chi rimane con mio figlio al posto mio e potermi dedicare al lavoro”. Un pensiero ben diverso da quello di Meloni e che riassume la differenza tra politiche che familizzano la cura (ovvero che la concentrano sulle spalle delle famiglie, a oggi prevalentemente delle donne) e politiche che ne rinforzano l’esternalizzazione (come gli investimenti sui servizi di cura, o i bonus), lasciando che le madri ricoprano con meno aggravio il ruolo di lavoratrici. A fronte di una retorica che sottende una visione estremamente marcata e tradizionale dei ruoli, in cui quello di padre non rientra quasi mai nel discorso pubblico, il governo sembra investire in entrambe le direzioni: per la familizzazione, con i congedi, e per l’esternalizzazione della cura, aumentando l’assegno unico. Questa misura, pur non essendo risolutoria, dà alle famiglie una risorsa economica da investire, potenzialmente, sui costi di nido o babysitter.
Solo il futuro ci dirà se queste scelte premieranno una visione tradizionale dei ruoli, con l’ennesima spinta alla sacralizzazione del ruolo di madre per le donne, o spingeranno una maggior parità nelle coppie con figli. Non so se sia saggio far notare alla presidente che le decisioni che ha preso, al di là della retorica con cui le ha narrate, vanno in questa ultima direzione.
GENITORIALITÀ LA VISIONE È TRADIZIONALISTA, IL PADRE NON ESISTE