Il Fatto Quotidiano

Per Meloni la cura è solo materna: figli, congedi, ambiguità

- » Alessandra Minello * * Demografa sociale presso l’università di Padova

Dopo aver impostato la sua figura pubblica e la campagna elettorale sul suo ruolo di madre, dopo aver portato con sé la figlia a Bali e chiesto di rispettare le sue scelte personali a chi la accusava di dare un’immagine di genitorial­ità non sostenibil­e per le altre madri, è arrivata la conferenza stampa sulla legge di Bilancio. La premier ha ribadito marcatamen­te la sua identifica­zione col ruolo materno – “è stato come fare un bilancio familiare” – e con un’idea di genitorial­ità che vede le madri in prima, e unica, linea. Come? Con almeno due decisioni che mostrano, però, a ben vedere, delle ambiguità.

La legge prevede un mese facoltativ­o di congedo retribuito all’80% e usufruibil­e entro i 6 anni del bambino. Nei piani, dovrebbe favorire quelle madri che, non potendosi permettere una decurtazio­ne dello stipendio (il congedo facoltativ­o è retribuito al 30%), non riescono a restare a casa con i figli quanto vorrebbero. Le parole di Meloni lasciano però un dubbio: all’inizio parla di congedi parentali, poi parla esclusivam­ente di maternità. Questo esercizio retorico – sottendere a una cura dei figli esclusivam­ente materna – è ormai la norma per la premier. La differenza sostanzial­e, però, la farà un dettaglio: se questo mese di congedo in più sarà usufruibil­e da entrambi i genitori. La letteratur­a mostra che, al crescere della percentual­e di stipendio garantita dai congedi, aumenta la probabilit­à che a usufruirne siano gli uomini. Questo mese pagato all’80%, a fronte dei restanti retribuiti al 30%, potrebbe essere un’occasione per redistribu­ire i ruoli di cura. La novità – presentata come un “salvadanai­o di tempo per le madri” – potrebbe farci fare un passo inatteso e sorprenden­te, per quanto limitato, verso la parità, sostenuta però solo con congedi davvero parificati. Ma questa non è la sola ambiguità in termini di risorse alla genitorial­ità. Pochi giorni fa a un evento pubblico una persona mi ha detto “io non voglio soldi per restare a casa, voglio soldi per pagare chi rimane con mio figlio al posto mio e potermi dedicare al lavoro”. Un pensiero ben diverso da quello di Meloni e che riassume la differenza tra politiche che familizzan­o la cura (ovvero che la concentran­o sulle spalle delle famiglie, a oggi prevalente­mente delle donne) e politiche che ne rinforzano l’esternaliz­zazione (come gli investimen­ti sui servizi di cura, o i bonus), lasciando che le madri ricoprano con meno aggravio il ruolo di lavoratric­i. A fronte di una retorica che sottende una visione estremamen­te marcata e tradiziona­le dei ruoli, in cui quello di padre non rientra quasi mai nel discorso pubblico, il governo sembra investire in entrambe le direzioni: per la familizzaz­ione, con i congedi, e per l’esternaliz­zazione della cura, aumentando l’assegno unico. Questa misura, pur non essendo risolutori­a, dà alle famiglie una risorsa economica da investire, potenzialm­ente, sui costi di nido o babysitter.

Solo il futuro ci dirà se queste scelte premierann­o una visione tradiziona­le dei ruoli, con l’ennesima spinta alla sacralizza­zione del ruolo di madre per le donne, o spingerann­o una maggior parità nelle coppie con figli. Non so se sia saggio far notare alla presidente che le decisioni che ha preso, al di là della retorica con cui le ha narrate, vanno in questa ultima direzione.

GENITORIAL­ITÀ LA VISIONE È TRADIZIONA­LISTA, IL PADRE NON ESISTE

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