Il Fatto Quotidiano

Italo, il Trasvolato­re di destra che atterra sempre sul morbido

- » Pino Corrias Italo Bocchino, da Tatarella a Romeo

Prima arriva la cravatta sul petto, poi lui, il ben tornato Trasvolato­re. Ora che è ricomparso nel giro della destra di potere, Italo Bocchino, che ha decollato trent’anni fa dal latifondo di Alleanza Nazionale – erano i tempi fondativi di Pinuccio Tatarella, testa fine della nuova destra e giacche altamente stazzonate – e poi lungo l’infelice parabola di Gianfranco Fini, sventatame­nte maritato Tulliani, ha messo su una arietta da padrone di casa, che esibisce con una certa voluttà, ogni volta che lo invitano nelle tv parlanti, sempre lieto di ascoltarsi: “Per favore non mi interrompa!”. E poi veloce a stendere la tovaglia e predisporr­e i coperti per illustrare il menu di casa Meloni, destra sociale a chilometro zero, condoni in purezza, Patria sempre al centro-tavola, guai per gli immigrati che sbarcano, guai a fannulloni, e dolci alla crema sovranista per la nascente Nazione di Giorgia: “Oggi l’europa torna a rispettarc­i. È un fatto”.

CE LO ERAVAMO

dimenticat­i per un po’. Ma s’era solo ricoverato nella rimessa aeroportua­le del Secolo d’italia, quotidiano un tempo di carta, con relativi contributi, oggi solo da rassegna stampa serale, ma con buona prospettiv­a di rifiorire nelle edicole, visto che molti dei suoi antichi redattori stanno in cima ai Palazzi e sarà loro il bello e il cattivo tempo futuro. Destino che ci tocca indossare già dalla prima legge di Bilancio sguinzagli­ata a caccia dei poveri, che per eterogenes­i dei fini è il maggior lascito di Enrico Letta, scienziato della politica più malinconic­a di sempre.

Bocchino di lasciti ne ha sorvolati parecchi, come si conviene a chi per volere del padre, segretario di sezione missina, nonché impiegato delle Poste a Napoli e Perugia, indossa il nome dell’ardito Italo Balbo per eguagliarn­e non tanto le ore di volo quanto la perizia negli atterraggi, ogni volta che la contraerea della politica, delle inchieste giudiziari­e e dei pasticci del cuore, hanno minacciato le sue ali.

Come tanti eroi della Commedia umana, Italo, nato nel 1967, viene dall’ombra piccolo borghese dei rancori e dei valori.

Imbocca il suo ascensore sociale per volontà e puntiglio. La serratura è la politica nel Fronte della gioventù. L’incontro della vita a vent’anni, congresso missino a Genova: “Ci arrivo all’alba in treno e davanti all’albergo, riconosco Tatarella che alle 6:30 sta leggendo il giornale seduto sul marciapied­e”.

Si presenta, lo omaggia: è decollo a prima vista. Tatarella che vuole traghettar­e la fiamma missina “verso la legittimit­à politica”, lo ingaggia come addetto stampa. Italo si scrolla la periferia di dosso, entra nella Roma dei Palazzi: tutto quello che vede brilla e gli piace. Con Tatarella beve l’acqua di Fiuggi che battezza Alleanza Nazionale. L’anno dopo entra alla Camera da deputato. Incontra, corteggia e sposa Gabriella Buontempo, dinastia costruttor­i, padre con aereo privato, lei con la passione del cinema. Lui passa dal monolocale con vista mura vaticane, agli affreschi di Palazzo Taverna. Festeggia la sua metamorfos­i sociale con vestiti sempre su misura e cravatte luminose. Mette su famiglia e qualche lampo di potere. Peccato una decina di anni dopo incappi negli occhi spalancati di Mara Carfagna, con scandalo al seguito, divorzio consensual­e e scuse in tv, davanti ai buoni uffici del parroco Fabio Fazio.

Un po’ prima delle cronache rosa, Italo si segnala in quelle giudiziari­e. Mentre è membro agguerrito della commission­e Telekom Serbia – che per la gioia del governo berlusconi­ano indaga su fantomatic­he tangenti (mai) pagate a Romano Prodi, Lamberto Dini e Piero Fassino – si scopre che 2,4 miliardi di lire sono sgocciolat­i da una finanziari­a di San Marino nelle casse assetate del quotidiano Roma di cui Bocchino è diventato editore. Soldi legittimi, diranno i giudici, ma provenient­i dalle provvigion­i di un tale conte Gianni Vitali che aveva benedetto proprio l’affare Telekom Serbia. Vedi i casi della vita.

L’altro vuoto d’aria giudiziari­o (per traffico d’influenze illecite) lo affronta spalla a spalla con il suo amico Alfredo Romeo, l’elegantone casertano della Global Service, imprese di pulizia, alberghi, immobili, giornali, 20 mila dipendenti, processi per tangenti a politici e faccendier­i in cambio di appalti, qualche condanna, qualche prescrizio­ne, dagli anni Novanta fino allo scandalo Consip, il più recente, quello dove compare il babbo di Matteo Renzi, il mostro.

Bocchino, che di Romeo è consiglier­e e consulente, atterra sempre nel morbido: “Sono antropolog­icamente distante da ogni atto illecito”. E poi: “La mia vocazione è la politica e la Camera il mio convento”. Preghiamo.

MORTO PER MALATTIA il suo mentore, la nuova rotta è quella al seguito di Gianfranco Fini, all’epoca presidente della Camera, stagione di guerriglia contro “Silvio padrone”, al grido di “Siamo una coalizione, non un’azienda!”. Memorabile il dito di Fini in diretta tv: “Che fai mi cacci?”, 22 aprile 2010. E poi scissione, quando B. lo caccia davvero, insieme con 34 deputati guidati da Bocchino, progetto di destra liberale, sigla di Futuro e Libertà, naufragata a stretto giro, dentro i 45 metri quadri della famosa casa di Montecarlo, altra storia nerissima di pestaggio editorial-televisivo. Che Fini paga con depression­e e abbandono della politica.

Mentre a punire Italo, ci pensa Sabina Began, devota arcoriana, che lo irretisce con una sventolata di ciglia nel privé del ristorante Assunta Madre, per poi masticarse­lo in pubblico: “Siccome che ’baiava come un cane contro Silvio” racconterà a Belve nel suo divertente italo-bosniaco, lo punisce con gogna mediatica (“usavamo scorta nei weekend, proibito, no?”) e rivelazion­e definitiva: “Non è a mia altezza spirituale”.

Italo supera pure il colpo in volo dell’ape regina. Non quello degli elettori che al giro di giostra del 2013 gli negano la quinta legislatur­a. “Da allora sono tornato a lavorare”, dice ai biografi con rivelazion­e involontar­ia sui suoi 17 anni di Transatlan­tico. Oggi, quando non difende Giorgia, fa il direttore editoriale del S ec o l o; il consulente per il solito Romeo; l’insegnante di Public Speaking, che sarebbe l’arte di parlare in pubblico.

Quando Tatarella lo convocò per arruolarlo, gli disse: “Fare il mio addetto stampa è facilissim­o, basta tacere”. Da allora ha fatto il contrario e vola ancora.

Parabole Chiamato così dal padre in omaggio al quadrumvir­o Balbo, percorre la strada dal Msi a Fiuggi seguendo Fini. Con qualche “sbandata” per questioni amorose e giudiziari­e

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Illustrazi­one di Francesco Federighi

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