Quasi il 20% del Pnrr rischia di finire male: 40mld su 220
Pensare di rispettare un Piano pensato “prima della guerra in Ucraina” è difficile, per questo – come prevedono le norme Ue – andrà adeguato alle condizioni odierne. Intervenendo a Bergamo all’assemblea dell’anci, l’associazione dei Comuni, il ministro Raffaele Fitto, peraltro capo della cabina di regia sul Pnrr, non poteva essere più chiaro di così. Matteo Salvini ha confermato secondo il suo stile: “È vero, ci sono tantissimi cantieri e parecchi miliardi a rischio”. All’ingrosso quasi il 20% dei soldi stanziati da Piano di ripresa e Fondo complementare sono a rischio di sforare le rigide tempistiche di spesa dei regolamenti europei, cioè sono a rischio di irrealizzabilità: parliamo di almeno 40 miliardi su 220 dello stanziamento complessivo fino al 2026.
La notizia non è inattesa: immettere a passo di carica quella quantità di risorse, peraltro da spendere sulla base di metriche che le sono estranee, in una macchina grippata da ultra-decennali tagli finanziari e desertificazione delle competenze non poteva che portarci qui. Ora Meloni e soci devono fare i conti con la vera eredità di Draghi: l’ultima Nadef dei migliori già certificava ritardi di spesa per circa 10 miliardi alla fine di quest’anno, ora le relazioni in arrivo dai ministeri sull’intero arco temporale del piano – anticipate ieri dal Sole 24 Ore – parlano appunto di almeno 40 miliardi di investimenti ad altissimo rischio di finire fuori dai binari. Il caso della banda larga e del 5G emerso nei giorni scorsi è solo la punta dell’icerberg. I motivi sono noti: le semplificazioni non hanno semplificato, le gare sono fatte male, la progettazione spesso pure, l’inflazione ha gonfiato i costi rendendo obsoleti molti capitolati d’appalto. La paura della firma dei funzionari pubblici, cui ha accennato Meloni, c’entra poco o nulla. Gran parte dei lavori, peraltro, andranno affidati entro giugno 2023: se, com’è scontato, ci saranno nuovi ritardi recuperare sarà impossibile.